Con Maria Brucale, avvocato appassionato e generoso, abbiamo iniziato un viaggio in un mondo su cui grava un infinito disfavore, ma che pochissimi conosco. Il mondo di chi è sepolto vivo al 41 bis.
Certe persone portano addosso il marchio del male assoluto. E pochi vanno oltre il mito negativo. Per vedere la concretezza di volti. Pochi cercano davvero di capire. E pochi difendono chi è considerato indifendibile.
Maria è tra questi pochi che non dimenticano che la conoscenza autentica va oltre la “galleria dei mostri” e il “dovere inevitabile dell’accetta” e che si sforzano di dare una chance in più al volto del diritto che non può andare in pensione mai, se davvero di diritto si tratta.
Maria Brucale rappresenta per noi preziosi momenti di riflessione.
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La sicurezza è la bandiera che viene sventolata ai nostri occhi. E’ un’ambizione comune, collettiva. Uno spettro che tutti unisce e raccoglie. Le nostre vite al sicuro, i nostri figli al sicuro. E’un baluardo emotivo, sofisticato e viscido che tocca corde sensibili e rende gretti, meschini, ciechi.
Il 41 bis è consapevole, tracotante sintomo ed espressione di tale rassegnata grettezza.
La sicurezza, origine e legittimazione di una carcerazione ferocemente afflittiva, assume contorni del tutto sfumati e sfocati e inalvea ogni genere di oppressione, privazione, repressione.
Il 41 bis contempla, tra le limitazioni tese ad evitare che i soggetti ad esso sottoposti possano veicolare messaggi di contenuto e di effetti criminosi, la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, in entrata ed in uscita.
E’ una norma che in astratto ha senso e trova completamento ed integrazione nella previsione di carattere generale di cui all’art. 18 ter, Ordinamento Penitenziario:
“1. Per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi:
a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa;
b) la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo;
c) il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima”.
Le esigenze attinenti alle indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero le ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, dunque, sono le sole ragioni in virtù delle quali la corrispondenza può essere trattenuta e non consegnata al destinatario.
Il controllo è esercitato negli Istituti Penitenziari, dai c.d. “uffici censura”. La posta si ferma lì, in entrata e in uscita. Si ferma, è il caso di dirlo, perché i tempi di attesa a volte sono lunghi, a volte lunghissimi. Le lettere sono tante, tantissime un mare. Ma c’è la carenza di personale, le finanze ridotte all’osso del ministero. Il mare si ferma.
L’amore in 41 bis viaggia attraverso le lettere. La posta in 41 bis ha valore assoluto.
E’, deve essere: come stai? Cosa fai? Come sono le tue giornate? Hai mangiato? Hai pianto? E la scuola? E mamma come sta? Da anni non può più venire a trovarmi… troppo lungo il viaggio, faticose le attese, per un’ora, in un mese. E’: raccontami, avvicinati, toccami, ascoltami, e si ferma, all’ufficio censura.
Ogni pagina viene letta e timbrata, vistata. Un timbro per pagina.
A volte il contenuto appare “criptico” perché non di immediata lettura o comprensione; perché in un’altra lingua, perché la scrittura tremante di una mano anziana e malferma non è perfettamente intellegibile; a volte lo scritto è accompagnato dalla foto di un bimbo, da un disegno, da un cuore di carta. L’ufficio censura allora “trattiene” la corrispondenza e ne dà comunicazione alla persona detenuta.
Il passaggio successivo è il vaglio del magistrato di sorveglianza del posto, ovvero del giudice competente se la persona ristretta è in attesa di primo giudizio. Dovrà, il magistrato, valutare se in effetti quello scritto negato contenga in germe il pericolo che la norma tende a prevenire.
Non c’è un termine perentorio entro il quale il magistrato deve esprimere il suo giudizio e restituire la corrispondenza ingiustamente bloccata.
L’amore si ferma.
Cala il silenzio su: come stai? Cosa fai? Come sono le tue giornate? Hai mangiato? Hai pianto? E la scuola? E mamma come sta? Da anni non può più venire a trovarmi… troppo lungo il viaggio, faticose le attese, per un’ora, in un mese; raccontami, avvicinati, toccami, ascoltami.
In 41 bis puoi incontrare solo tre persone, il tuo “gruppo di socialità”. Quelle che ti hanno assegnato, sempre le stesse, della tua sezione detentiva, per un’ora al giorno, per anni.
Quelle persone sono tutto il tuo mondo affettivo dentro al carcere. Diventano tua madre, tuo fratello, il tuo migliore amico, il volto a te più noto, più vicino.
All’improvviso, per “ragioni di sicurezza”, il Ministero della giustizia dispone che alcuni detenuti vengano trasferiti in altre sedi. Il “gruppo di socialità” si smembra.
Tua madre, tuo fratello, il tuo migliore amico, il volto a te più noto, più vicino, sono ora lontani.
Ed ecco che quella sicurezza, squallido simulacro di intenti, si palesa, ancora.
In molte carceri 41 bis, le persone ristrette in tale regime, non appartenenti allo stesso gruppo di socialità, non possono intrattenere tra loro corrispondenza epistolare. E’ vietato. Vengono allontanati e perdono la possibilità di parlare, pur censurati, letti, controllati. L’ha disposto la direzione di alcune carceri, Rebibbia in testa, interpretando la legge che vuole che si prenda ogni misura per impedire contatti ambigui tra soggetti sempiternamente marchiati di “mafiosità”.
Il mare si ferma. L’amore si ferma.
Maria Brucale da Le Urla dal silenzio