Sono Carmelo Musumeci, attualmente detenuto nel carcere di Padova, condannato, in Italia, patria del diritto romano e di Cesare Beccaria, alla la pena di morte viva, così viene chiamata tra di noi quella condanna che non ti dà nessuna possibilità, un giorno, di uscire. Ebbene è una vera condanna a morte presa a gocce un po’ tutti i giorni e tutte le notti. Ho scritto sul muro della mia cella: “Io non sono né morto né vivo, sono solo un ombra”. Io combatto contro l’ergastolo da tanti anni e in particolare combatto l’ergastolo ostativo, perché allo stato attuale delle leggi molti di noi ergastolani usciranno solo cadaveri dal carcere. Ma se la nostra Costituzione dice che “Le pene DEVONO tendere alla rieducazione del condannato” (Art.27) io continuo a chiedere ai “buoni” che stanno fuori dal muro di cinta che senso ha rieducare qualcuno per portarlo rieducato alla tomba… L’ergastolo ostativo è una pena disumana, io ho la mia compagna che mi aspetta da 23 anni, ho 2 figli, ho 2 nipotini e so che la mia famiglia avrà di me solo il mio cadavere. Combattere contro la pena dell’ergastolo è un po’ come fare una partita a scacchi con la morte, non puoi vincere, però il problema è che io non posso nemmeno perdere, perché ho qualcuno che mi vuole bene e che mi aspetta, senza rassegnarsi. Neanche tanti miei compagni vogliono capire e molti di loro hanno scoperto che non usciranno mai solo dopo decenni di carcere. La legge dice che o collabori, cioè mandi in cella qualcun altro al posto tuo, o rimani dentro. Ma chi invece non se la sente di mettere in pericolo la vita dei propri cari, che dopo tanti anni ancora pagano per colpe che non sono loro? Per essere mogli, figli, nipoti di ergastolani? E chi vuole pagare la propria colpa senza farla pagare ad altri?
In tanti mi dicono: “Ma non è possibile che una persona che viene condannata sia colpevole per sempre”. E io allora rispondo che qui siamo in Italia, non siamo negli Stati Uniti o in altri paesi che bene o male non sono così crudeli, ti mettono a morte e basta, qui ti vogliono ammazzare un pochino lentamente, un po’ tutti i giorni, con la scusa di rieducarti, appunto, per l’al di là.
Quando scrivo di queste cose qualcuno mi ricorda sempre di parlare anche delle vittime. E lo faccio molto volentieri, perché la cosa che mi fa star male più di tutto è che la mia sofferenza, e soprattutto quella della mia famiglia, non è di consolazione a nessuno, perché il mio reato è per una guerra tra bande, quindi diciamo che non ci sono “vittime innocenti”, in realtà era così: io ammazzavo te o tu ammazzavi me. E questo vale per quasi tutti i condannati per reati associativi, cioè appunto quelli ostativi ai benifici penitenziari.
Quello che a volte mi fa più rabbia della mia sofferenza, e di quella della mia famiglia, è che non serve a nessuno: se la mia sofferenza facesse bene a qualcuno, io lo accetterei, invece vedo che non serve a nessuno, non c’è nessuna utilità.
Io sono entrato in carcere con la quinta elementare, poi ho preso la licenza media, mi sono diplomato, mi sono laureato in giurisprudenza, adesso mi sono iscritto alla facoltà di filosofia di Padova, ma faccio tutto questo, alla fin fine, solo esclusivamente per passare il tempo, perché la società non mi darà mai la possibilità di rimediare al male che ho fatto facendo del bene. Eppure ci sarebbero tanti modi di scontare la pena, io, per esempio, preferirei spazzare le strade di qualche città, o fare volontariato in un Pronto Soccorso, perché secondo me la pena si sconta quando tu esci dal carcere, e non senza far nulla stando chiuso in una cella.
Io e altri 1.500 ergastolani dovremmo morire qui dentro per placare la sete di giustizia di una società che in realtà vuole vendetta. A chi giova tutto questo?
[…] Storie di fine pena mai Ho scritto sul muro della mia cella: “Io non sono né morto né vivo, sono solo un ombra”. Io combatto contro l’ergastolo da tanti anni e in particolare combatto l’ergastolo ostativo, perché allo stato attuale delle leggi molti di noi ergastolani usciranno solo cadaveri dal carcere […]