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La sorveglianza totale e i minimizzatori di professione: il caso Snowden-Greenwald

La storia dello scoop del secolo – le rivelazioni di Edward Snowden sul controllo di massa attuato dalla Nsa, agenzia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti – è appassionante e rivelatrice, ma sembra già dimenticata, specie dalle nostre parti. Dove, peraltro, è stata accolta a suo tempo con quello stesso atteggiamento che Glenn Greenwald, il giornalista specializzato che raccolse le confidenze e i documenti di Snowden e autore di questo libro (”No place to hide – Sotto controllo”, Rizzoli), attribuisce ai columnist dei principali media mainstream statunitensi, cioè un tentativo di minimizzare la gravità delle rivelazioni e una giustificazione del tipo: “Il fatto che il governo stia raccogliendo dati in maniera così massiccia, gigantesca, significa che gli sarà ancora più difficile trovare me… E non ha assolutamente alcun motivo di cercarmi, dunque non mi sento affatto minacciato dalla vicenda” (parole del conduttore di Msnbc, Lawrence O’Donnell). E’ una variante dell’antica tesi secondo la quale chi non fa nulla di male non ha nulla da temere dai sistemi di sorveglianza governativa.

Greenwald nel suo libro mette in guardia, con efficacia, sulla pericolosità di simile opinione di apparente buon senso e mostra quanto la privacy personale sia connessa direttamente con la libertà – anche psicologica – individuale e con un’effettiva democrazia. Scrive ad esempio: “E’ così in tutte le società: chi non pone problemi raramente è preso di mira da misure repressive e, dal suo punto di vista, può ben convincersi che una repressione, di fatto, non esista. Ma il vero metro della libertà di una compagine sociale è il modo in cui tratta i suoi dissidenti e altri gruppi emarginati“.

Il libro di Greenwald mostra con quanta pertinacia l’amministrazione Obama abbia perseguito un obiettivo in apparenza impensabile: controllare tutto, controllare tutti. L’incubo orwelliano di “1984”, apprendiamo, è oggi una precisa strategia politica, che cerca legittimazione sotto le bandiere della sicurezza e della lotta al terrorismo, ma che in verità ha ben altre ragion d’essere, cioè la conferma dei poteri stabiliti, la neutralizzazione preventiva di qualsiasi autentica opposizione politica. Analisti e giudici, quando chiamati in causa, hanno riconosciuto che l’impressionante sistema di controllo approntato sotto Obama non ha portato alcun risultato sotto il profilo dell’azione antiterroristica: gli uffici del governo non hanno potuto citare nemmeno un caso del genere.

La Nsa ha però messo sotto controllo una mole di comunicazioni mai vista prima, con la collaborazione di tutte le maggiori major del pianeta – da Yahoo a Facebook, da Google a Skype, Aol e compagnia. Greenwald sostiene che gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali “sono tentati di realizzare un sistema tentacolare di spionaggio rivolto ai loro stessi cittadini”, perché “l’inasprimento delle diseguaglianze economiche” ha portato a “livelli sorprendentemente alti di insoddisfazione nei confronti delle classe politica e dell’orientamento della società”. L’obiettivo è dunque tenere sotto controllo i possibili oppositori, i movimenti che potrebbero mettere in discussione lo status quo, disinnescando lo spirito critico in seno alla società: “La sorveglianza di massa”, scrive Greenwald, “spegne la fiammella del dissenso in un luogo importante e profondo: nella mente umana, dove l’individuo addestra se stesso a pensare solo in conformità a ciò che gli è richiesto o che ci si aspetta da lui”.

Il sistema dell’informazione, nel suo insieme, ha reagito alle rivelazioni di Snowden e Greenwald con una presa di distanza e il consueto tentativo di demolire la credibilità dell’ex agente e del giornalista. Il primo è attualmente sotto protezione russa ma ricercato in patria dove è considerato un traditore (sotto questo profilo l’amministrazione Obama è stata più oltranzista di qualunque altra, disconoscendo di fatto la funzione del giornalismo investigativo e di chi dall’interno degli apparati pubblici rivela notizie riservate di interesse pubblico). Greenwald è stato attaccato da più parti, sul piano personale e professionale, in un modo che non fa onore al giornalismo statunitense e internazionale.

Il ritratto che esce da questo libro del giornalismo negli Usa, in particolare, è impietoso: il legame dei maggiori media con l’amministrazione (e in particolare con l’adulato presidente Obama) è strettissimo, così come il malinteso patriottismo che spinge a sposare quasi qualunque posizione del governo in materia di sicurezza e lotta al terrorismo.

Del resto anche da noi pressoché tutto il giornalismo convenzionale ha mostrato fastidio per la figura di Snowden e anche per Greenwald (basta ricordare i commenti di prime firme del giornalismo convenzionale come Gianni Riotta o Michele Serra) secondo un copione che il giornalista statunitense residente in Brasile descrive così: “L’automatica demonizzazione delle gole profonde è uno dei modi con cui i media dell’establishment, negli Stati Uniti, tutelano gli interessi di chi detiene il potere: un grado di asservimento così totale che molte regole del giornalismo sono confezionate in modo la promuovere il messaggio di chi governa”.

Il caso Snowden ci informa sulla pervasività dei controlli, sulla sistematica violazione di alcuni pilastri delle società democratiche da parte – in questo caso – del governo degli Stati Uniti, sull’estrema debolezza del sistema dell’informazione, ormai incapace di svolgere con forza, coerenza e convinzione il suo ruolo di controllore del potere e dei suoi abusi.

Ciò che Snowden e Greenwald hanno fatto, al fine di rendere pubblici gli incredibili abusi di potere su scala mondiale del governo Usa, rende certo onore al giornalismo investigativo e al quotidiano inglese Guardian che ha pubblicato gli articoli di Greenwald e lo ha sostenuto (sia pure con alcune retromarce e contraddizioni), ma finito il libro resta la forte sensazione che i contrappesi e i meccanismi di controllo, a fronte di governi e leader politici sempre più spregiudicati e avulsi dal resto della società, siano ormai ridotti ai minimi termini.

 

Lorenzo Guadagnucci da micromega