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Iran: le forche della vergogna

Un altro militante curdo, imprigionato e torturato da agenti dei servizi segreti, rischia di essere impiccato in Iran. L’appello urgente viene da Amnesty International.

Si tratta di Kamal Hassan Ramezan Soulo, originario del Rojava (Kurdistan sotto amministrazione siriana). Rinchiuso nel carcere centrale di Urmia (Urmiye in curdo, Azerbaigian occidentale), rischia la pena capitale per quello che ha tutta l’aria di uno scambio di persona. Ma i servizi segreti, rifiutandosi di ammettere l’errore,  lo hanno sottoposto negli ultimi tre anni a torture e maltrattamenti. Lo scopo era quello di ottenere una “confessione” in merito a una azione armata a cui Kamal non ha mai preso parte.

Secondo gli uomini dei servizi Kamal Hassan Ramezan Soulo sarebbe in realtà “Kamal Soor”, già condannato a morte in contumacia nel 2011 per un’azione armata risalente al 2006 (azione attribuita al PJAK, una delle principali organizzazioni dell’opposizione curda in Iran).

Nonostante  la camera del tribunale rivoluzionario di Urmia abbia stabilito (in ben due occasioni: settembre 2017 e giugno 2020) che Kamal Hassan Ramezan Soulo non è “Kamal Soor”, gli agenti dei servizi iraniani insistono perché venga giustiziato.

Il giovane curdo era stato arrestato nell’agosto 2014 sui Monti Qandil in prossimità della frontiera tra Iran e Iraq. Nel 2015 veniva condannato a dieci anni, pena poi ridotta a sette anni e mezzo, per appartenenza al PKK.

Poi, nel maggio 2017, mentre si trovava in carcere, gli venne comunicato che su di lui pendeva una condanna a morte. Impedendo, di fatto, che potesse usufruire di un indulto che lo avrebbe rimesso in libertà nell’ottobre 2019.

Sempre da A.I. si apprende che il giovane curdo siriano è stato torturato anche recentemente, dopo il suo trasferimento (il 13 giugno 2020) in un centro di detenzione del ministero dell’Intelligence. Luogo in cui è rimasto segregato, senza comunicarlo ai difensori o a i famigliari, per circa una settimana.

Gianni Sartori