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La sinistra rivoluzionaria turca, i Curdi… Frammenti di speranza tra le macerie e la pandemia

Inizialmente il titolo di questo articolo doveva essere lapidario: “Riformista o rivoluzionaria, ma senza i curdi la sinistra turca non va da nessuna parte”. Soprattutto come “ritorsione” per le sentenze (o scemenze) emesse da qualche  “giovane ricercatore” (magari affiliato a quella che possiamo definire lobby iraniana) che a più riprese ha invocato severe “punizioni” (!?!) per i curdi siriani apostrofandoli come “traditori” (di Assad). O per le sordide sortite di qualche pensionato della Rai sulla stessa lunghezza d’onda,

Ma peccavo di presunzione, evidentemente.

Nessuno (e tantomeno io) deve sentirsi legittimato nel dar lezioni a chicchessia. Però – stimolato anche da un recente articolo di Emile Bouvier –  la mia impressione, almeno in parte, rimane quella.

Ovviamente con tutto il rispetto dovuto a chi resiste, pagando spesso con il carcere o con la vita, al regime dell’autocrate Erdogan.

Un regime che – stando all’analisi della sinistra radicale turca- non avrebbe poi tante altre alternative per galleggiare tra i marosi della crisi economica e sociale (o almeno per non esserne travolto). Se non quelle appunto già sperimentate di un esasperato autoritarismo condito da sfrenato  nazionalismo. E – ovviamente – da molteplici interventi militari intesi e interpretati non solo come espansionismo  (ricerca dello “spazio vitale”?) ma anche come forma di distrazione e consolazione di massa.

In Turchia la situazione economica non è rosea da tempo. A fine giugno si calcolava che il debito estero lordo arrivasse a 421,8 miliardi di dollari. Come sottolineava qualche addetto ai lavori (il Ministero del Tesoro e delle Finanze),  corrisponderebbe al 56,8% del prodotto interno lordo del paese. Un evidente peggioramento indotto, almeno in parte, dalla pandemia che ha colpito soprattutto i lavoratori salariati, in sempre maggiori difficoltà per rate, mutui e affitti. Un sondaggio del sindacato DISK/Genel su circa 1300 lavoratori riportava che il 68% riceve un salario minimo di circa 300 dollari mensili e solo per il 23,8%  lo stipendio garantiva la copertura delle spese almeno per i tre mesi successivi.

Nel frattempo il governo non rallenta la sua repressione contro la sinistra (rivoluzionaria e non), contro i curdi e ora anche contro gli armeni (con il sostegno fornito a Baku nella guerra recente).

F-16 e droni contro i comunisti turchi

Tra settembre e novembre (in tre – per ora – diverse ondate) le aree di Dersim-Ovacik Buyukkoy sono state pesantemente bombardate con elicotteri, F-16 e droni.

Un’operazione rivolta principalmente contro i militanti del TIKKO (Esercito di liberazione degli operai e contadini di Turchia), braccio armato del TKP/ML (Partito comunista di Turchia/Marxista-leninista) e che è costata la vita a vari esponenti dell’organizzazione.

La prima serie di attacchi risaliva agli inizi di settembre. Particolarmente intensi i bombardamenti con i droni dal 7 al 9 settembre quando venivano uccisi due militanti: Erol Volkan Ildem (Nubar, integrato nella guerriglia dal 2009 e membro del comitato centrale del TKP/ML) e Fadime Cakil (Rosa, 24 anni, aveva aderito al TIKKO ancora giovanissima, nel 2013).

Nei primi giorni di ottobre, nel corso dell’ennesimo bombardamento, nei pressi della città di Ovacik morivano due militanti del TKP/ML: Ali Kemal Yilmaz (Ozgur) e Gikce Kurban (Asmin). I corpi si presentavano ridotti in tali condizioni da poter essere identificati soltanto con il prelievo del DNA. Nei successivi attacchi dal 30 ottobre al 9 novembre aveva perso la vita Cumhur Sinan Oktlamaz (Deniz), esponente del comando generale del TIKKO Dersim.

Risultava sicuramente eccessiva e fuori luogo la scomposta esultanza espressa dal ministro degli Interni turco (Suleyman Soylu) per i risultati conseguiti. Alcuni dei caduti infatti erano stati anche decapitati (in stile jihadista). Una pratica di intimidazione psicologica non nuova e spesso adottata nei confronti dei combattenti curdi uccisi dalle truppe di Ankara.

Il TKP/ML sarebbe appunto una delle organizzazioni della sinistra turca che dalla lotta dei curdi ha ricavato nuove energie, una spinta per rinnovare e rilanciare le proprie iniziative politico-militari.

Stando a un rapporto risalente al 2018 dei servizi di intelligence tedeschi (BfV), l’esempio del Rojava è risultato determinate per la “seconda giovinezza” di una parte della sinistra radicale turca (clandestina e non). In particolare per coloro che hanno raggiunto la Siria per combattere a fianco dei curdi. In modo particolare i militanti del partito comunista marxista-leninista (MLKP), del TKP/ML e del TIKKO.

Convergenze rivoluzionarie

Acquista una certa rilevanza (anche per la recente guerra del Nagorno-Karabakh e per la solidarietà espressa dai curdi agli armeni, vittime di azeri e turchi) il fatto che nell’aprile del 2019 una brigata delle Forze democratiche siriane, di cui il PYD (a torto o a ragione ritenuto l’equivalente siriano del PKK) rappresenta la spina dorsale, abbia modificato la propria denominazione in quella di “Brigata del martire Nubar Ozanyan”. In onore di un esponente del Tikko, un turco di origine armena, caduto in combattimento a Raqqa contro Daesh nel 2017.

E tale convergenza non avviene solamente in Siria.

Se in passato l’intensa attività del PKK potrebbe in qualche modo aver “oscurato” (per lo meno a livello mediatico) le organizzazioni rivoluzionarie turche di sinistra, oggi la situazione appare quasi ribaltata. Dal 2016 è attivo, operante il Movimento rivoluzionario unito dei popoli (HBDH): un’alleanza tra il PKK e vari movimenti turchi (nove per la precisione) di estrema sinistra.

Ma facciamo qualche passo indietro.

Risaliva al settembre 1980 uno dei colpi di stato dalle conseguenze tra le più profonde e durature in Turchia. Destinato a incidere – e modificare – radicalmente anche lo scenario antagonista e rivoluzionario, letteralmente devastato dall’inasprimento repressivo.

Nel breve giro di qualche mese solamente Dev Sol (Devrimci Sol) e  TKP/ML – se pur barcollanti – davano prova di poter resistere, sopravvivere all’attacco manu militari del governo e mantenere un certo grado di operatività.

Anche a livello di lotta armata. Non è questo il luogo per stabilirne la liceità o meno (sul piano etico, morale, politico…) in un contesto particolare come quello turco. Esisteva, esiste e si tratta di prenderne atto.

Così come, sempre in Turchia, esistono la tortura, le uccisioni extragiudiziali, i prigionieri di opinione, i desaparecidos, le squadre della morte, la repressione e il terrore di Stato…

E anche di questo bisognerebbe prenderne atto e tirare qualche conclusione.

Torniamo agli anni ottanta. Nel contesto del dopo-golpe,  altri gruppi- la gran parte – andavano in frantumi tra scissioni e discussioni.

Nel sottobosco rivoluzionario turco dell’epoca si muoveva una miriade (diverse decine) di movimenti, partiti, partitini e organizzazioni. Tra questi il THKO e il THKP-C, derivati dalle diverse correnti preesistenti nel movimento comunista. Rispettivamente, da quella di Deniz Gezmic il primo, da quella di Mahir Cayan l’altro, il THKP-C (secondo cui la Turchia è sostanzialmente una “neo-colonia” e la rivoluzione sarebbe non solo necessaria, ma “urgente”).

Senza dimenticare una terza frazione, quella ispirata a Ibrahim Kaypakkaya (TKP-ML).

Per il THKO (definito enverista – talvolta hoxhaista – in riferimento al pensiero del comunista albanese Enver Hoxha) per abbattere lo stato turco “capitalista e feudale”, più che alla ricostruzione di un partito rigorosamente e tradizionalmente inteso, occorre impegnarsi per un ampio fronte popolare rivoluzionario.

Aderente alla medesima tendenza – e proprio nel 1980 – nasceva il Partito  comunista rivoluzionario di Turchia (TDKP) che tuttavia evitava di partecipare alla guerriglia evolvendo successivamente come organizzazione impegnata nel confronto politico pacifico. Alla fine del 1996, divenuto il Partito del Lavoro (EP), rigetterà anche pubblicamente  l’uso della violenza politica pur definendosi come il “partito rivoluzionario illegale della classe operaia”. Operazione non del tutto indolore che porterà alcuni dissidenti a costituire il TDKP/Leninista destinato a diventare prima “Ekim” (Ottobre) e successivamente – nel 1998 –  il Partito comunista operaio di Turchia (TKIP) intenzionato a non abbandonare la lotta armata.

Sempre sintonizzata sulla medesima tendenza THKO, due anni prima del golpe – nel 1978 – era nata la Lega rivoluzionaria comunista di Turchia (TIKB) che – curiosamente – si dichiarava a favore della scelta delle armi pur non partecipandovi.

Alla seconda tendenza -. quella del THKP-C, definita talvolta “urgentista” – spetta probabilmente uno dei primi posti in quanto a radicalità. Caratterizzata per vari approcci con gruppi estremisti anche europei (addirittura con Action Directe, vedi l’attacco contro una banca israeliana a Parigi).

Sulla stessa lunghezza d’onda si manterrà, pur nel progressivo indebolimento, anche Dev-Sol (Devrimci Sol, Sinistra Rivoluzionaria fondato nel 1978).

Quanto al TKP-ML (la terza tendenza per capirci), dopo il 1980 il partito sembrava riprendere vita. Soprattutto nella regione curda e alevita di Dersim dove è ancora presente e in attività (per quanto sottoposto, come abbiamo visto, ai periodici bombardamenti turchi). Non mancarano anche qui i contrasti ideologici e le conseguenti scissioni. Nel 1987 si divide in due partiti, il TPK/ML DABK (ossia TPK/ML Comitato regionale dell’Anatolia orientale) e il TKP/ML 3 (ossia TKP/ML terza conferenza).

Frattura che tuttavia si rinsalderà nel 1992 con una riunificazione.

Un’altra data fatidica – destinata a riaccendere la fiamma dell’antimperialismo – per i movimenti rivoluzionari turchi sarà quella del gennaio 1991 con l’intervento militare denominato “ Tempesta del Deserto” (a conclusione della Prima Guerra del Golfo avviata nell’agosto 1990). Contemporaneamente l’inasprimento della repressione sanciva lo scioglimento di Dev Sol. Almeno provvisoriamente. Rinascerà infatti – sotto la guida di Dursun Karatas – nel marzo 1994 come Partito-Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo (Devrimci Halk Kurtulus Partisi-Cephesi, DHKP-C). Nella sua analisi l’anticapitalismo si declina con la lotta all’oligarchia (di cui denunciano i legami internazionali) e come lotta anti-imperialista (in riferimento sia alla NATO che agli USA, entrambi obiettivo di ripetuti attacchi). Relativamente eterogenea la base militante del DHKP-C. Sarebbe costituita principalmente da lavoratori urbani, studenti universitari e sottoproletariato. Significativa la presenza della comunità alevita.

Come sottolineava Francesca La Bella in un suo articolo del 2016 il DHKP-C “viene ritenuto il partito di sinistra con la più ampia base attiva e con il maggior numero di azioni compiute nel Paese”.

Alcune di queste azioni – ormai circa tremila – furono particolarmente efferate. Tra queste, l’assassinio di Andrew Blake (13 agosto 1991), rappresentante della Camera di commercio britannica a Istanbul. O ancora – il 9 gennaio 1996 –  l’uccisione di tre uomini d’affari turchi (tra cui il magnate Ozdemir Sabanci, assassinato nel suo ufficio).

Ma non mancano esempi della capacità del DHKP-C di suscitare anche una forte mobilitazione popolare. Come in occasione del 1 maggio 1996 quando la polizia aprì il fuoco uccidendo qualche manifestante.

Sottoposto a una durissima repressione, nella seconda metà degli anni novanta il DHKP-C venne conosciuto a livello internazionale per alcuni scioperi della fame che portarono alla morte decine di militanti (nel 1996 e successivamente dal 2000).

Sempre nell’articolo di F. La Bella venivano riportate alcune delle ultime, eclatanti azioni rivendicate dal gruppo:

attentato suicida contro l’ambasciata statunitense ad Ankara nel 2013*; attacco incendiario contro la sede di Istanbul di Adimlar, rivista considerata vicina alle posizioni dello Stato Islamico, nel marzo 2015; sequestro di Mehmet Selim Kiraz, procuratore del caso Berkin Elvan, 15enne turco morto dopo 9 mesi di coma in seguito al ferimento da parte della polizia durante le manifestazioni di Gezi Park, nel marzo 2015”.

Da segnalare (a differenza del TKP/ML) una sostanziale presa di distanza dal PKK dopo una fase di avvicinamento e collaborazione reciproca negli anni novanta.

Da parte sua invece il MLKP riuscirà, recuperando quanto rimaneva in circolazione dei vari movimenti, gruppi e gruppetti della sinistra rivoluzionaria – la maggioranza in via di decomposizione – a diventare una delle presenze più stabili e significative del panorama rivoluzionario turco. Analogamente al TKP/ML che raccoglierà seguaci soprattutto nelle aree di campagne.

Anche la relativa notorietà di queste due organizzazioni, oltre che ad alcune azioni più o meno spettacolari, sarà una conseguenza di alcuni scioperi della fame dei prigionieri.

Soprattutto dal 2001, quando per diversi mesi centinaia di militanti rifiuteranno di nutrirsi. Con il conseguente decesso di circa una cinquantina di loro.

Come è noto tale forma di protesta (spesso l’ultima possibilità di rivendicare per i detenuti) è stata anche recentemente adottata da qualche intellettuale o dissidente incarcerato. Aveva suscitato un certo scalpore (anche nelle anime belle della sinistra italica, vedi il cantautore Vecchioni) la morte di Helin Bolek (3 aprile 2020)  e di Ibrahim Gokcek (7 maggio 2020), due musicisti di Grup Yorum. E anche quella dell’avvocata curda Ebru Timtik, morta il 27 agosto dopo 238 giorni di digiuno chiedendo un giusto processo per sé e per i suoi colleghi incarcerati.

Ugualmente nel 2019 centinaia di prigionieri politici curdi erano entrati in sciopero della fame per richiedere la liberazione di Abdullah Ocalan.

Al di fuori dei gruppi considerati (DHKP-C, MLKP, TKP/ML) attualmente in Turchia non si registrano presenze significative di altre organizzazioni riconducibili alla sinistra radicale (o “estremista” che dir si voglia). Vuoi per le divergenze interne che hanno portato alla frantumazione di molti gruppi, vuoi per essere stati “assorbiti” dalle tre maggiori, vuoi per un certo “oscuramento” prodotto dall’attivismo curdo (e del PKK in particolare).

Rilevante, a tale riguardo, la recente nascita del Movimento rivoluzionario unito dei popoli (HBDH). Di cui – per la cronaca – esisteva già un precedente risalente al 1998, la “Piattaforma delle forze rivoluzionarie unite” (BDGP).

Esperienza – quella di BDGP – a cui il DHKP-C si era rifiutato di partecipare e conclusasi nel 1999 (effetto collaterale – forse – della cattura di Ocalan).

Va tuttavia ricordato che – in controtendenza – proprio nel 1999 si registrava l’azione congiunta di PKK e DHKP-C contro un complesso industriale (tre vittime). Un estremo sussulto – presumibilmente – di quel Fronte comune tra PKK e DHKP-C risalente ancora al 1995 (e di cui nel 1998 era stato annunciato il fallimento).

In ogni caso – anche se di questo aspetto il rapporto del 2018 dell’intelligence tedesca non ne faceva cenno – possiamo ipotizzare che l’attività e l’elaborazione teorica del PKK abbiano contribuito – magari indirettamente – a rinnovare (“ringiovanire”) anche il DHKP-C. Vuoi per emulazione, vuoi per stare al passo.

Al momento il contenzioso tra le due organizzazioni rimane aperto, ma comunque – stando alle informazioni disponibili – circoscritto all’ambito del confronto ideologico e politico.

Gianni Sartori

*Nota 1: (per la precisione, il 1 febbraio 2013, una vittima; o anche – nel settembre dello stesso anno –  l’attacco con lanciagranate al quartier generale della Direzione generale della sicurezza, una vittima nda)