Rinchiuso da quasi un anno in un carcere egiziano perché trovato in possesso di «un piccolo quantitativo di marijuana per uso personale» durante un soggiorno turistico; sottoposto a carcerazione preventiva per sei mesi e poi a processo con l’ultima udienza rinviata per mancanza di traduttori; «maltrattato e torturato» in carcere, «abbandonato da oltre cinque mesi» al suo destino dall’ambasciata italiana al Cairo, il 31enne Luigi Giacomo Passeri – padre italiano e madre sierraleonese – non ha più contatti diretti con la famiglia da pochi giorni dopo il suo arresto in Egitto, il 23 agosto 2023.

Stremato nel corpo e nella psiche, nell’ultimo messaggio che è riuscito ad inviare domenica 16 giugno 2024 alla madre e ai quattro fratelli maggiori (il padre è morto), ha infine annunciato di aver intrapreso lo sciopero della fame.

LA STORIA È STATA raccontata dai giornali abruzzesi nei giorni scorsi e raccolta dal deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Marco Grimaldi, che ieri ha depositato un’interrogazione a risposta scritta al Ministro degli Affari esteri affinché «sia garantita ogni forma di assistenza e supporto da parte dell’Ambasciata italiana in Egitto, vengano verificate le condizioni di detenzione e di salute psicofisica del detenuto» e «sia garantito un equo e giusto processo in tempi celeri e attivandosi perché il giovane possa rientrare presto in Italia».

E scongiurare così un altro caso Salis o, peggio, Regeni. Poche ore dopo il deposito dell’interrogazione, la Farnesina avrebbe spronato l’ambasciatore Michele Quaroni ad intervenire con più vigore sul caso.

Secondo la ricostruzione del deputato Avs e confermata al manifesto dal fratello del detenuto, Andrea Passeri, la famiglia «non riesce più ad avere contatti diretti con il giovane dal 28 agosto 2023», se non per lettera, malgrado abbia saputo che Luigi «subirebbe torture e dopo un intervento chirurgico di rimozione dell’appendice sarebbe stato abbandonato senza ricevere neanche le dovute cure mediche».

Il giorno dopo l’arresto, Luigi sarebbe dovuto rientrare a Londra dove lavora e vive con la sorella, mentre gli altri fratelli insieme alla madre vivono tra Pescara, dove la famiglia si è trasferita nel 1997 dalla Sierra Leone, Roma e gli Usa.

E INVECE IL 31ENNE è finito nel «Centro di correzione e riabilitazione» di Badr, 65 km a est del Cairo, aperto nel 2022 da Al-Sisi per dare un volto «umano» alla carcerazione dei detenuti cairoti, ma giunto in pochi mesi ad avere la stessa terribile reputazione del famigerato carcere di Tora.

Un complesso penitenziario che, come conferma Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, era stato propagandato come il fiore all’occhiello del regime egiziano, «con standard di detenzione occidentali, e si è rivelato invece – afferma Noury – come tutti gli altri, con decine di miglia di detenuti, via via trasferiti da Tora, che vivono in condizioni disumane e degradanti».

A fronte dell’accusa di «possesso di stupefacenti con intenzione di spaccio» formulata ufficialmente dalla procura cairota, a suo supporto Luigi Giacomo ha solo un avvocato difensore egiziano «che ha già chiesto 30 mila dollari di parcella, non sarebbe mai andato a trovare in cella l’assistito (ma è possibile che gli sia stato impedito, ndr) e sarebbe stato in grado di inviare solo pochi documenti e verbali scritti in arabo». Che la famiglia sta ancora cercando di tradurre.

L’ambasciata italiana in Egitto (che ad aprile ha inaugurato la nuova sede «presso la maestosa Nile City Tower», come riportano le cronache), «al momento sarebbe riuscita a fare solo una visita in carcere, a febbraio 2024», mentre «dalle scarse lettere che il giovane è riuscito a mandare ai familiari si evince un peggioramento delle sue condizioni psicofisiche e la famiglia teme che Luigi possa commettere atti di autolesionismo».

NEL FRATTEMPO, dopo un paio di udienze del processo, posticipate perché alcuni testimoni dell’accusa non si sarebbero presentati davanti al giudice, «l’ultima udienza del 22 maggio 2024 si è conclusa con un nulla di fatto a causa dell’assenza di un interprete».

Tutto rinviato a fine agosto, con probabile sentenza. Andrea Passeri teme per la vita di suo fratello: «Non lo abbiamo incontrato né gli abbiamo parlato al telefono, ma abbiamo ricevuto solo due lettere che ci hanno allarmato non poco sulle sue condizioni. Un altro mio fratello ha fatto richiesta di andarlo a trovare in carcere ma da un mese e mezzo attende risposta».

La famiglia ha aperto una raccolta fondi su GoFundMe per far fronte alle spese legali.