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10 anni NoGlobal

LA VIGILIA DEL G8 DI GENOVA Un convegno per ricordare i fatti del 17 marzo 2001 a Napoli e quello che ne è seguito: le tecniche di repressione sperimentate con gli ultras e applicate ai movimenti, le zone rosse, l’assenza del reato di tortura, le legislazioni speciali per controllare le rivolte contro le discariche e gestire il dopo-terremoto a L’Aquila. In 10 anni, 16 mila attivisti denunciati e 6 mila rinviati a giudizio per le lotte sociali.

Il 17 marzo a Napoli non si ricorda l’unità d’Italia ma il Global forum del 2001, almeno nell’area che si riconosce nelle lotte politiche e sociali. Quel pomeriggio, cioè, che anticipò il G8 di Genova sul piano della repressione violenta del dissenso. Ieri un convegno organizzato dal Legal team Italia proprio a Napoli ha ripercorso l’ultimo decennio di politiche e legislazioni speciali come pratiche riproposte poi, di volta in volta, sui territori in rivolta contro le discariche, la Tav fino a L’Aquila del post terremoto. Dalla gestione delle manifestazioni in piazza, quindi, si è passati alle proteste per il lavoro, alle comunità, il controllo sociale diventato un problema di ordine pubblico. È Livio Pepino, direttore di Quale Giustizia, a spiegare come molti dispositivi utilizzati dal 2001 in avanti siano stati sperimentati negli anni sulle tifoserie calcistiche, gruppi che non sollevano particolari simpatie e quindi facilmente isolabili, dall’arresto in flagranza differita fino al daspo,
che a dicembre scorso si è proposto di estendere alle manifestazioni politiche. Soprattutto, il reato di devastazione: «In Italia – spiega Pepino – era stato utilizzato quasi esclusivamente per i terroristi altoatesini che mettevano le bombe ai tralicci, per le rivolte carcerarie e, naturalmente, per gli hooligan». La gestione concordata della piazza è terminata quando è cominciata la politica delle zone rosse: «Dal ’46 al ’77 – ricorda ancora – sono stati 142 i morti durante i cortei. Dal ’77 al 2001, cioè da Giorgiana Masi a Carlo Giuliani, non era più accaduto». A Genova è successo qualcosa di diverso, che aveva avuto un suo precedente a marzo a Napoli, sotto un governo di differente colore politico ma con la stessa gestione dell’ordine pubblico.
Piazza Municipio ridotta a una tonnara con, per la prima volta dopo decenni, anche carabinieri e guardia di finanza a gestire la repressione, feroce. Nessun varco per scappare, manifestanti colpiti con manganelli fuori ordinanza, inseguiti fin dentro il pronto soccorso degli ospedali. Il processo terminato con la condanna in primo grado per sequestro di persona aggravato per i funzionari, non tutti, una parte delle colpe sanate dalla prescrizione: «Perché l’Italia – ricorda l’avvocato Liana Nesta – non ha recepito il reato di tortura. Portati nella caserma Raniero senza conoscere l’imputazione, senza poter parlare con un legale, identificati e sottoposti ad angherie.
Tra i condannati in primo grado il vicequestore Fabio Ciccimarra, che metterà poi la molotov nella Diaz a Genova». E poi la ritorsione dello stato, perché quello che è successo nella città ligure è successo sotto obiettivi e telecamere di giovani, reporter e mediattivisti, le bugie smascherate anche grazie a una segreteria legale che ha fornito supporto tecnico nei diversi procedimenti. E allora arrivano nel 2002 i processi di Cosenza e Taranto, dove si teorizza che un gruppo di sovversivi, dai docenti agli operai, hanno cospirato da sud contro lo stato prima e durante i fatti di Genova: «Hanno tirato – spiega l’avvocato Simonetta Crisci – fuori dal cassetto il reato di cospirazione, un’accusa sufficientemente vaga da poter colpire chiunque, un arnese che ha funzionato dal fascismo a oggi. I giornali, esibiti in aula, raccontavano dei Ros del generale Ganzer che giravano le procure proponendo l’inchiesta, lo stesso accusato di traffico d’armi e droga. Di uno degli accusati, Francesco Cirillo, avevano fatto la copia delle chiavi di casa per installare delle cimici, dopo ogni incursione se le tenevano invece di riconsegnarle al pm, così entravano e uscivano quando volevano». Un’accusa basata non su prove ma interpretazioni di conversazioni, già bocciata due volte, ma portata lo stesso in appello.
In dieci anni, sono 16mila le persone denunciate, seimila rinviate a giudizio, per fatti che riguardano le lotte sociali ricorda Italo di Sabato, dell’Osservatorio sulla repressione. Nel 2009 a Teramo 39 ragazzi sono finiti nelle maglie della giustizia dopo uno scontro con Forza nuova e la rottura di una vetrina, di cui 22 solo per aver esposto allo stadio uno striscione di solidarietà: «La legalità come dichiarazione di guerra contro i poveri cristi». Napoli, Genova e poi le Torri gemelle con la lotta planetaria al terrorismo che, dagli Usa all’Europa, impone la compressione dei diritti civili, così spiega l’avvocato Ezio Menzione si arriva ad accettare come normali le retate a tappeto, le zone off limits, gli arresti fuori flagranza, i controlli alle frontiere fino ai pastori sardi bloccati a Civitavecchia per non farli arrivare a manifestare a Roma. Fino alle discariche dichiarate zone militari, con le aggravanti per gli arrestati nelle vicinanze, aggravanti anche per chi colpisce un agente di pubblica sicurezza, cose che capitano in una manifestazione, oppure si fanno capitare.

Adriana Pollice – il manifesto