Venerdì 12 dicembre 1969 alle 16.37 scoppiò una bomba all’interno della Banca Nazionale dell’ Agricoltura in piazza Fontana a Milano.
Rimasero brutalmente uccise sul colpo 14 persone, altre due morirono poco dopo e la diciassettesima vittima morì anni dopo in seguito alle lesioni riportate, i feriti furono 87.
Quello stesso giorno furono piazzate altre quattro bombe, tre scoppiarono a Roma (alla BNL, all’Altare della Patria e al Museo del Risorgimento), mentre la quarta, depositata nella Banca Commerciale Italiana in piazza della Scala a Milano, non esplose. La bomba inesplosa venne subito fatta brillare, nonostante fosse considerata ormai innocua anche dagli artificieri, perdendo così preziosissime informazioni per le indagini.
LE INDAGINI NELL’AMBITO DELLA SINISTRA
La questura subito diresse le sue indagini verso la “pista rossa”. La sera stessa della strage il commissario Luigi Calabresi, conversando con il giornalista Giampaolo Pansa, si disse convinto che la responsabilità degli attentati era da attribuire ai gruppi dell’estrema sinistra. Il questore Marcello Guida subito asserì che la strage era da ricollegare a degli attentati compiuti il 25 aprile per i quali erano stati tratti in arresto alcuni anarchici. Il prefetto Mazza telegrafò al presidente del consiglio Mariano Rumor dicendo che l’ipotesi più attendibile da formularsi era quella anarcoide. Nei giorni successivi ci furono 244 fermi, 367 perquisizioni domiciliari e 81 irruzioni nelle sedi di gruppi e organizzazioni politiche. Il presidente della repubblica Saragat convocò le più alte cariche dell’ordine pubblico per valutare l’opportunità di proclamare lo “stato di pericolo pubblico”. Grazie al quale i prefetti avrebbero potuto ordinare l’arresto di qualsiasi persona e il Ministro dell’Interno avrebbe potuto revocare leggi vigenti.
Nelle ore immediatamente successive all’attentato fu arrestato Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico, animatore del circolo culturale “Ponte della Ghisolfa”. Trattenuto illegalmente oltre le ore consentite dal fermo di polizia, interrogato senza sosta precipitò dal quarto piano dei locali della questura. La sentenza su come e perché Pinelli volò fuori dalla finestra del quarto piano è una delle pagine più nere della storia della “giustizia” italiana.
Ci furono molti punti oscuri nella conduzione delle indagini, incongruenze con le perizie dei medici legali, discordanze tra le versioni dei fatti fornite dagli agenti che parteciparono all’interrogatorio. Il 15 dicembre Pietro Valpreda, convocato al tribunale di Milano come testimone di un procedimento per offese al pontefice, venne arrestato e accusato della strage di piazza Fontana. Le accuse si basavano sulle rivelazioni di un finto anarchico, Mario Merlino (in realtà militante di Avanguardia Nazionale, infiltratosi nei movimenti di sinistra in seguito ad un istruttivo viaggio nella Grecia dei colonnelli con Pino Rauti e Stefano Delle Chiaie) e di un tassista: Cornelio Rolandi.
Rolandi, cambiando un paio di volte versione, raccontò la strana storia di un suo passeggero alto circa 1,73 con capelli non appariscenti e senza particolari inflessioni nel parlare, che da Piazza Beccaria (distante circa 135 metri dalla Banca dell’Agricoltura) prese il suo taxi fino in via Santa Tecla allontanandosi dalla banca, un atteggiamento davvero strano per uno che vorrebbe passare inosservato. Inoltre Valpreda non corrispondeva alla vaga descrizione del tassista, infatti era un capellone alto 1,66 e con una forte difetto di pronuncia, una erre “arrotata”. Rolandi in seguito a dei riconoscimenti poco ortodossi realizzati nella questura di Milano intascò i 50 milioni della taglia.
LE RADICI DELLA STRAGE
Il 7 dicembre 1969 (cinque giorni prima della strage) i settimanali inglesi The Guardian e The Observer pubblicarono un dossier partito dal Ministero degli Esteri ad Atene e diretto all’ambasciatore greco a Roma. Nel dossier datato 15 maggio si parlava approfonditamente di un agente dei colonnelli, il “Signor P” (Pino Rauti, capo di Ordine Nuovo e futuro parlamentare del MSI) e dei suoi preparativi per organizzare in Italia un colpo di stato sul modello greco. In effetti, i mesi precedenti a quel drammatico dicembre del 1969 erano stati costellati di attività terroristiche messe in atto da elementi delle destre radicali e per la precisione da Ordine Nuovo.
15 aprile, Padova: bomba al rettorato dell’università; 25 aprile: stand della FIAT alla fiera a Milano; 12 maggio: tre bombe inesplose, due a Roma (Uffici della procura e Corte di Cassazione) e una al Palazzo di Giustizia di Torino; 24 luglio Milano: ordigno scoperto e disinnescato al Palazzo di Giustizia; Tra l’8 e il 9 di agosto otto bombe esplosero su vari convogli ferroviari, altre due furono ritrovate su treni in Stazione Centrale a Milano e alla stazione di Venezia Santa Lucia; per finire il fallito attentato alla scuola slovena di Trieste (tenuto nascosto dalle autorità fino al gennaio del 1971), di cui sappiamo tutto grazie alle rivelazioni, fatte nel 1996, dell’ex di Ordine Nuovo Martino Siciliano. Il commando era composto da lui, Zorzi, la fidanzata di Zorzi e un altro camerata, la macchina era stata messa a disposizione da Carlo Maria Maggi (reggente di Ordine Nuovo per il Triveneto), l’esplosivo era stato recuperato da Zorzi e l’innesco fatto da Carlo Digilio.
In questi attentati pur cercando e rischiando spesso la strage si sono ottenuti “solo” molti feriti. I tipi di esplosivi, i detonatori, i contenitori e le modalità di preparazione e realizzazione non lasciano molti dubbi sul fatto che a fare e collocare quelle bombe fossero sempre state le stesse mani. Il Sid, in una nota del 13 dicembre redatta sulla base di informazioni raccolte dal maresciallo Gaetano Tanzilli, indicava Stefano Delle Chiaie (leader di Avanguardia Nazionale) e Mario Merlino (il falso anarchico) quali responsabili degli attentati di Roma. L’ordine gli sarebbe arrivato da Guerin Serac e Robert Leroy (due ex Waffen-SS) attraverso “l’Aginter Press”. Un’agenzia di stampa con sede a Lisbona che fungeva da copertura per il reclutamento, da parte dei servizi segreti portoghesi e statunitensi, di elementi delle destre radicali per “operazioni coperte” nell’ambito della guerra fredda.
Il rapporto del Sid passò per diverse mani subendo numerose modifiche, fino alla stesura definitiva del 17 dicembre, da dove scompariva il perché dell’infiltrazione di Mario Merlino tra i gruppi anarchici, ma sopratutto dove Leroy e Serac venivano presentati come pericolosi anarchici! Le precise volontà di depistaggio da parte degli apparati statali saranno testimoniate da un altro documento riservato del Sid datato 11 aprile 1970, dove si scriveva che Serac e Leroy non erano anarchici, ma appartenevano ad una organizzazione anticomunista, però si suggeriva di tacere questa informazione alla pubblica sicurezza.
Un’ennesima prova delle “coperture” di cui i neofascisti disponevano è stata la vicenda del commissario Pasquale Juliano della squadra mobile di Padova. Incaricato dal questore di indagare sulla bomba al Rettorato dell’università del 15 aprile 1969, arrivò in breve tempo a raccogliere informazioni sulla cellula di Ordine Nuovo di Padova. In particolare indagò sull’avvocato padovano Franco Freda e sul Trevigiano Giovanni Ventura. Arrivò ad arrestare un estremista di destra, tal Riccardo Patrese, mentre usciva dalla casa di Massimiliano Fachini (uno stretto collaboratore di Freda) con una pistola e una bomba. Juliano fu subito allontanato dalla questura con l’accusa di aver precostituito le prove, solo nel 1979 gli verrà riconosciuta dai giudici l’infondatezza di tali accuse.
LA SVOLTA DELLE INDAGINI: L’APERTURA DELLA “PISTA NERA”
Il 15 dicembre 1969, Guido Lorenzon, un insegnante di francese vicino alla DC e amico di Giovanni Ventura, disse al suo avvocato di essere stato informato, da parte di Ventura, dell’esistenza di un’organizzazione eversiva impegnata nell’instaurazione di un regime sul modello della Repubblica Sociale Italiana di Salò. Disse in oltre che Ventura affermò “di saperla lunga sulle bombe di dicembre a Milano”, e “di aver finanziato gli attentati sui treni avvenuti in agosto”. Dalle sue rivelazioni partirono delle indagini da parte del giudice istruttore di Treviso, ne fu informato anche il giudice istruttore di Roma (a cui era stata assegnata la competenza per le bombe di dicembre).
Si ebbe una svolta nell’inchiesta con il ritrovamento di due depositi di armi ed esplosivi appartenenti ad organizzazione eversiva che faceva capo a Freda e Ventura. Purtroppo ancora una volta i 35 candelotti esplosivi rinvenuti vennero fatti immediatamente brillare senza fare prima analisi per stabilire se fossero stati utilizzati anche per le stragi. Sui due vennero effettuati controlli e indagini e si scoprì, attraverso intercettazioni telefoniche, che Freda aveva acquistato 50 timer marca “Diehl” con temporizzatore a 60 minuti, dotati di un particolare dischetto segnatempo prodotto in esclusiva da Targhindustria, e che questi erano identici ai timer usati nelle stragi. Se questo non bastasse, il giornale “L’Espresso” segnalò che in una valigeria di Padova erano in vendita borse dello stesso modello e colore delle borse usate per piazzare le bombe. In seguito a questa segnalazione del settimanale, si scoprì l’esistenza di un appunto “dimenticato” della questura di Padova datato 16 dicembre 1969, in cui il commerciante di borse “Al Duomo” dichiarava di aver venduto 4 borse (modello 2131, prodotte in germania dalla ditta Mosbach e Gruber) uguali a quella rinvenuta a Milano contenente l’ordigno inesploso della Banca Commerciale Italiana.
Per concludere il quadro probatorio con cui si aprirà il primo processo sulla strage di piazza Fontana restano da ricordare due elementi: il primo fu una riunione avvenuta a Padova in data 18 aprile 1969 con un esponente di spicco dell’eversione nera romana, all’inizio si pensò essere Pino Rauti di Ordine Nuovo, salvo poi appurare che era Stefano Delle Chiaie di Avanguardia Nazionale. Il secondo fu il ritrovamento, in una cassetta di sicurezza di proprietà della madre di Giovanni Ventura, di alcuni documenti riguardanti la politica interna e internazionale provenienti dai servizi segreti. Si scoprirà in seguito (grazie a dei difetti grafici nella scrittura) che quei documenti furono scritti con la macchina da scrivere di Guido Giannettini. Giannettini, noto come “l’agente Z”, era un’agente segreto del Sid. Per sua stessa ammissione svolse un ruolo di contatto con i neofascisti per conto del generale Maletti.
LO SVILUPPO DELLE VICENDE GIUDIZIARIE
La prima inchiesta partita a Milano fu spostata per un cavillo a Roma già verso la fine di dicembre, nel 1971 questa era già conclusa sul versante della pista rossa e rimandava a giudizio per strage gli appartenenti al gruppo anarchico “22 marzo”. Dopo poche udienze il procedimento venne rispedito a Milano per incompetenza territoriale, da qui fu mandato a Catanzaro adducendo le motivazioni di “pericolo per l’ordine pubblico e legittima suspicione”. Nel passaggio milanese si aggiunsero tra gli imputati alcuni dei neofascisti. Poi anche alcuni esponenti dei servizi.
All’inizio del processo il 23 febbraio 1979 si ritrovarono alla sbarra gli anarchici Pietro Valpreda, Emilio Borghese, Roberto Gargamelli, Olivio de Salvia, Enrico di Olimpia Torri e l’infiltrato fascista Mario Merlino (rimasto fregato nel suo stesso doppio gioco), i neofascisti Franco Freda, Giovanni Ventura, Stefano Delle Chiaie, Marco Pozzan, Piero Loredan di Volpato del Montello e Stefano Serpieri e gli ufficiali dei servizi Guido Giannettini, Giandalio Maletti, Antonio Labruna e Gaetano Tanzilli. La corte condannò in primo grado Freda, Ventura e Giannettini all’ergastolo per strage, mentre Maletti, Labrune e Tanzilli vennero condannati per favoreggiamento. Gli anarchici, tutti assolti per la strage, furono condannati per associazione a delinquere.
Nel 1981 la Corte di appello di Catanzaro assolse tutti, condannando solo Freda e Ventura per associazione sovversiva in riferimento agli attentati dell’aprile e dell’agosto 1969, ma non per piazza Fontana. La Cassazione annullò la sentenza, assolvendo definitivamente il solo Giannettini e rinviando tutto a al tribunale di Bari.
Nel 1985 il tribunale di Bari confermò la sentenza di secondo grado di Catanzaro.
Nel 1987 la cassazione confermò la sentenza di Bari
Per la strage di piazza Fontana non c’erano colpevoli!
Un nuovo processo si intentò per Stefano delle Chiaie e Massimo Fachini, ma furono entrambi assolti.
L’ultima inchiesta prende il via nei primi anni ’90 dall’unione di più filoni investigativi riguardanti le attività di Ordine Nuovo, una partita di 36 bombe a mano un tempo appartenute al gruppo milanese dell’organizzazione neofascista (noto come “la Fenice”) usate durante un corteo del MSI a Milano nel 1973, ed un documento, attribuibile a Nico Azzi, in cui si parla della disponibilità rimasta di timer dopo gli attentati del 12 dicembre 1969.
Due collaboratori permisero lo sviluppo delle indagini, Martino Siciliano, ex di Ordine Nuovo nel Triveneto, e Carlo Digilio, noto come “zio otto”, infiltrato dalla CIA nell’organizzazione. Nome in codice “Erodoto”. Siciliano, coinvolto con Delfo Zorzi nell’attentato alla scuola slovena di Trieste e nel confezionamento della bomba che nel 1971 esplose all’Università Cattolica di Milano, ricostruì al giudice Salvini l’organigramma di Ordine Nuovo. Descrisse gli incontri del 1966 tenutisi a Mestre per rilanciare Ordine Nuovo nel Triveneto, dove si definì la situazione italiana prerivoluzionaria e di conseguenza la necessità di attrezzarsi affinchè il PCI non prendesse il potere.
Nella struttura, Delfo Zorzi come capocellula di Mestre, riferiva direttamente a Carlo Maria Maggi, il quale a sua volta riferiva a Roma a Paolo Signorelli che era in contatto con Rauti che dirigeva la struttura. In questo periodo Ordine Nuovo accumulò armi ed esplosivi anche nella sede di Mestre, che Zorzi utilizzava come seconda casa. Siciliano, nella primavera del 1969, partecipò anche ad una riunione avvenuta nella libreria Ezzelino di Padova (proprietà di Freda) dove si definì la strategia stragista: infatti grazie al suo contatto con Rognoni, Zorzi poté organizzare il gruppo di Ordine Nuovo “la Fenice” di Milano. Infine Siciliano raccontò della cena di capodanno del 1969 a casa di Giancarlo Vianello a Mestre, dove Zorzi parlando di piazza Fontana disse: “SIAMO STATI NOI A FARE QUELLA ROBA, NOI COME ORGANIZZAZIONE”.
Carlo Digilio era l’armiere del gruppo, lo “zio otto” fu infiltrato per permettere il salto di qualità al gruppo, in particolare nel campo degli esplosivi, in modo da farli operare attivamente nel quadro della strategia della tensione. Digilio dichiarò di essere stato “infiltrato” nel gruppo tramite Lino Franco, un ex repubblichino animatore del gruppo Sigfrid (un’articolazione dei nuclei di difesa dello stato, un’organizzazione parastatale anticomunista). Franco lo fece incontrare con Ventura che lo portò subito nel deposito di armi ed esplosivi del gruppo in un casolare nel comune di Paese. Digilio raccontò le fasi precedenti alla strage. Carlo Maria Maggi lo avvisò che vi sarebbero stati gravi attentati e che lo avrebbero presto contattato. Zorzi gli diede appuntamento l’8 dicembre e gli fece vedere nel cofano della 1100 di Maggi tre casse militari con dell’esplosivo dicendogli che i timer li aveva innescati un elettricista. Gli disse che doveva andare con quelle casse fino a Milano, e si fece rassicurare sulla possibilità di non saltare in aria lungo il tragitto. L’elettricista che preparò i congegni era Tullio Fabris, che nel 1994 decise di parlare (sostenne di non averlo fatto prima per le minacce ricevute da Fachini e Rauti), raccontando sia delle prove fatte con gli inneschi nello studio legale di Freda, sia delle proposte di collaborazione con Ordine Nuovo, sia delle protezioni che gli sarebbero state garantite da “alte sfere”.
Digilio riferì infine alcuni discorsi di Maggi in cui disse che “per gli attentati del 12 dicembre erano partiti alla volta di Milano Delfo Zorzi e i mestrini di sua fiducia viaggiando con la Fiat 1100”, che Giovanni Ventura aveva coordinato l’intera operazione, che “i fatti del 12 dicembre erano solo la conclusione di quella che era stata la nostra strategia”, che “c’era una mente organizzativa al di sopra della nostra, che aveva voluto questa strategia”e infine che “l’incriminazione degli anarchici era una mossa strategica studiata dai servizi segreti”. Alle dichiarazioni di Maggi aggiunse quella di Zorzi in cui diceva che nonostante tutti quei morti “era stata importante perché aveva dato forza alle destre e colpito la sinistra del paese”.
L’8 giugno 1999 iniziò il processo per strage contro Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni che in primo grado furono condannati all’ergastolo.
Il 12 marzo 2004 la Corte di Appello assolse tutti, motivando che, pur ritenendo attendibili Siciliano e Digilio, non aveva abbastanza elementi contro Zorzi e gli altri.
Il 3 maggio 2005 la Corte di Cassazione confermò tutto.
Nelle motivazioni della sentenza vengono riconosciute due cose: la colpevolezze di Freda e Ventura (purtroppo senza effetti perché già processati e assolti per la strage) e l’implicazione del gruppo Ordine Nuovo nella pianificazione e attuazione degli attentati.
Anche stavolta nessuno ha pagato per la strage!
LA VERITA’ SULLA STRAGE
La guerra fredda ha avuto un’influenza diretta nella storia Italiana. Era impensabile dagli accordi di Yalta in poi che l’Italia potesse diventare socialista, cosi all’indomani della seconda guerra mondiale una serie di operazioni furono avviate nel paese per impedire questa ipotesi, dal finanziamento alla DC, alla rottura dell’unità sindacale fino alla costituzione di reti parallele di “autodifesa” in caso di un tentativo insurrezionale comunista. Così nacquero i Nuclei di Difesa dello stato, Gladio e la strategia della tensione.
La strategia della tensione fu il tentativo di generare panico nel paese, possibilmente attribuendo le colpe alle sinistre, in modo da permettere svolte autoritarie o addirittura golpiste. Il sistema “democratico” Italiano a tratti non sembrava offrire la garanzia di mantenersi allineato al blocco occidentale, così si sono strutturate campagne per “raddrizzare” in senso autoritario la stato. La prova degli intrecci messi in piedi dai servizi segreti Italiani e statunitensi sta nella vicenda di piazza Fontana.
Ventura e Freda erano legati attraverso Giannettini al Sid, Digilio per sua stessa ammissione era l’agente “Erodoto” della CIA, Delfo Zorzi tramite Elvio Catenacci, questore di Venezia, era vicino all’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, Maggi era vicino ad A.Magi braschi un ex-Sifar esperto di guerra non ortodossa, Fachini era legato al capitano Labruna del Sid e Pino Rauti è stato vicino al Sifar e al Sid come collaboratore dell’ammiraglio Henke: una strage attribuita alla sinistra, orchestrata da apparati dello Stato e eseguita da neofascisti reclutati dai servizi segreti italiani e stranieri. (da Antifa Milano )