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Natale da ergastolani

Ogni anno ricevo moltissimi auguri di buone feste da parte di ergastolani sparsi nelle nostre “Patrie Galere”.

E quest’anno ho deciso di rendere pubbliche, almeno in parte, tre di queste lettere. C’è chi pensa, infatti, che sia giusto tenere segregato un proprio simile per “correggerlo e redimerlo”. Queste brevi testimonianze dimostrano invece che una pena senza termine condanna il detenuto ad essere considerato, e a considerarsi, maledetto, cattivo e colpevole per sempre. Così, leggendo questi pensieri, è possibile riflettere più concretamente sulle proprie convinzioni ed iniziare a considerare che, forse, si sta sbagliando.

È vero, molti di noi se la sono cercata. E forse è anche giusto che qualcuno di noi paghi e soffra all’infinito per il male che ha fatto, affinché la nostra sofferenza dia qualche sollievo alle vittime dei nostri reati. Forse è anche giusto il principio biblico: una vita per una vita o occhio per occhio dente per dente. Eppure non riesco a convincermi che ci sia giustizia in una pena che non finisce mai. Piuttosto penso che sia più certa e sicura per la società la “Pena di Morte” che la “Pena di Morte Viva”, cioè l’ergastolo.

In tutti questi anni di carcere mi sono spesso domandato perché la società continua a tenerci in vita se ci considera irrecuperabili e pericolosi fino alla fine dei nostri giorni. Non riesco a capire se lo fa in nome della giustizia, per vendetta o perché non vuole sporcarsi le mani di sangue. Forse, semplicemente, vuole dimostrare che le persone buone non uccidono (nel senso che non tagliano teste) ma preferiscono ipocritamente murare vive persone che ancora non sono morte e senza l’umanità di ammazzarle prima.

Caro Melo, come sai è difficile sentirsi vivi se si è ergastolani, perché è quasi impossibile sfuggire al nostro destino. Quale è il senso di una vita così? Ti ci aggrappi, la sopporti insieme a tutte le sue umiliazioni, per nulla. Melo, dobbiamo essere proprio dei folli a continuare a scontare una pena che non finirà mai. Mi raccomando, però: tu che ormai non hai più l’ergastolo ostativo, non ti stancare mai di combattere contro la “Pena di Morte Nascosta” come la chiama Papa Francesco. E continua a lottare anche per me perché io non ce la faccio più e già mi sono arreso perché questo è il trentaduesimo Natale che passo dentro. Ormai fuori non mi è rimasto più nessuno. Sono solo e a volte mi domando che cazzo spero un giorno di uscire, a fare cosa? (Carcere di San Gimignano)

Caro Carmelo, proprio oggi ho avuto la notizia, tra i detenuti, che è morto un vecchio ergastolano. Costui, di origine, era vicino a Napoli. Dico origine, perché quando siamo condannati all’ergastolo non abbiamo più paese e né diritti, siamo di proprietà dell’ergastolo. Questo vecchio aveva quasi 85 anni e si trovava dentro dal 1981. Ha vissuto tutti questi anni senza avere la speranza di morire fuori. E ho pensato che anch’io farò la sua stessa fine. Credo che quello che ti fa andare avanti nella vita sia l’incertezza, perché senza questa la vita diventa piatta. Ma purtroppo molti di noi sono certi che moriranno in carcere. Buon Natale. (Carcere di Porto Azzurro)

Caro amico, non mi piace molto perché è sciocco farsi gli auguri in carcere, ma “purtroppo” siamo vivi e la tradizione è questa. Sai, oggi pensavo che la vita di un ergastolano è diversa da quella delle persone normali perché sai quasi con esattezza dove morirai, cioè in carcere. Mentre il resto delle persone può sognare di morire sotto un cielo aperto, o in qualche incidente stradale, o nella propria casa circondato da qualcuno che gli vuole bene, noi invece moriremo chiusi in una cella da soli, come bestie. L’unica consolazione che ci rimane è che non abbiamo paura della morte perché temiamo più la vita. Con il passare degli anni ti sembra di non essere più umano e ti trasformi in una cosa fra le cose. (Carcere di Sulmona)

Carmelo Musumeci – Carcere di Padova, Natale 2015