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Euskal Herria: Arnaldo Otegi è libero!!

otegi

Quella di martedì 1 marzo è una giornata a suo modo storica per il popolo basco e i/le militanti della sinistra indipendentista: Arnaldo Otegi, l’esponente abertzale più popolare degli anni Duemila, è uscito dal carcere di Logrono (Spagna, La Rioja)

Clicca qui per il video con le prime parole di Otegi fuori dal carcere: “C’è chi dice che non ci sono prigionieri politici in Spagna…”

Oggi è un giorno storico per il popolo basco. Dopo sei anni e quattro mesi uscirà dal carcere di Logroño (nella regione della Rioja) il leader più carismatico della sinistra indipendentista basca: Arnaldo Otegi. Il giovane politico di Elgoibar, un paesino della provincia basca Gipuzkoa, si è trasformato sul finire degli anni ’90 in una personalità chiave della sinistra basca. Lucido e coerente nella sua linea politica, ha scommesso fortemente sull’apertura di una nuova fase politica nei Paesi Baschi, una “offensiva di pace” per far uscire il “movimento di liberazione nazionale e sociale” da quella che sembrava una situazione di stallo, dopo più di mezzo secolo di conflitto armato.

Conosciuto come Zutik Euskal Herria, il dibattito popolare che portò all’apertura di un nuovo ciclo politico, oramai più di cinque anni fa, significò per la Izquierda Abertzale (sinistra patriottica) la storica decisione di terminare la lotta armata. Un cambiamento sostanziale “per sfruttare le condizioni politiche e sociali aperte dalla fase anteriore, che d’altro canto mostrava segni inequivocabili di esaurimento e logorio”. Spostando radicalmente le coordinate del conflitto, la scommessa per una rottura democratica e unilaterale verso l’autodeterminazione politica portò sicuramente importanti risultati politici. Si sono aperte nuove possibilità di incidere sulla politica e spazi importanti di rappresentanza nelle istituzioni. Inoltre, la nuova strategia ha debilitato la costruzione statale del nemico interno e della “lotta al terrorismo” a qualunque costo. Una costruzione giuridico-politica che ha alimentato un forte sentimento xenofobo legato al nazionalismo spagnolo, e fornito una cornice idonea in cui inserire la strategia di repressione statale contro i diritti sociali e politici della popolazione basca.

Arnaldo Otegi giocò un ruolo fondamentale in questa delicata fase, dimostrando una straordinaria capacità di agglutinare posizioni e sensibilità differenti intorno al nuovo progetto politico. Quando lo arrestarono, il 13 ottobre del 2009, stava per diventare il nuovo timoniere della sinistra basca, proiettato verso un panorama politico rinnovato ma non meno burrascoso del precedente. Fu condannato a dieci anni di carcere (poi ridotti) per appartenere alla formazione politica Batasuna, resa illegale dall’Audiencia Nacional perché considerata un partito politico direttamente vincolato a Eta. Erano gli anni di Baltasar Garzón e della sua famosa teoria “todo es Eta”, secondo cui tutte le strutture politiche del movimento di liberazione nazionale basco (anche i collegi per i bambini) erano un’articolazione politica dell’organizzazione militare. Quello stesso Garzón che lo scorso ottobre ha dichiarato: “Non ha alcun senso che Otegi continui in carcere, può fare molto di più per la pace stando fuori che dentro”.

Ma il processo contro Arnaldo Otegi e altri importanti dirigenti politici fu fortemente criticato fin dagli inizi; in molti, non solo dentro la Izquierda Abertzale, hanno denunciato il carattere arbitrario del procedimento giudiziario. Tra questi, un giudice dello stesso Tribunale Supremo, Alberto Jorge Barreira, dichiarò la sua contrarietà alla sentenza, e con lucide argomentazioni espresse il suo voto particolare per l’assoluzione. Arnaldo Otegi è diventato quindi un “Nelson Mandela basco”. Il leader della rivolta contro l’apartheid in Sudafrica volle fare del suo numero di reclusione, il 46664, un simbolo della lotta contro l’Aids e per rivendicare il diritto umano a curarsi da quella infame malattia. Allo stesso modo, l’8719600510, il numero da detenuto di Otegi, è diventato un simbolo nella campagna per chiedere il rispetto dei diritti umani dei prigionieri politici baschi.

Accusato per “non aver condannato pubblicamente Eta”, con gli anni la sua figura si è infatti trasformata in un simbolo della condizione degli oltre quattrocento prigionieri e prigioniere politiche basche. Intorno al suo caso si è accesa una grande campagna internazionale per chiedere la liberazione dei detenuti politici, a cui hanno aderito grandi personalità del mondo politico e culturale, tra cui Pepe Mujica, Angela Davis, Desmond Tutu, Pérez Esquivel, Leila Khaled e Tariq Ali. Fino alla recente adesione di 27 membri del Parlamento Europeo alla campagna.

Insomma, Otegi oggi si lascia alle spalle le porte di un carcere in cui è stato detenuto sei lunghi anni.

Dopo un comizio fuori dal carcere, stasera una grande festa popolare lo accoglierà nel suo paese natale. Mentre sabato prossimo è in calendario una grandissima conferenza pubblica al Velodromo di San Sebastian (che settori della politica spagnola stanno cercando d’impedire). Ma si troverà anche di fronte a una realtà completamente cambiata, un paese distino e una società distinta, che però non ha potuto ancora curare le sue ferite. Un contesto politico complesso e profondamente difficile, in cui pesa tremendamente la situazione delle centinaia di persone ancora recluse. L’uscita di carcere di Otegi non è importante solamente per la sua caratura politica e il gioco mediatico che c’è intorno alla sua figura, capace di catalizzare l’attenzione pubblica sulla questione basca. La sua liberazione coincide con un nuovo grande processo di dibattito interno alla sinistra basca. Il processo Abian: “il secondo passo della nuova fase aperta da Zutik”, aperto per sanare e risolvere problemi tattici e strategici che limitano fortemente il progetto indipendentista.

Se il cambio di strategia ha portato buoni frutti a breve termine, negli ultimi tempi — vista l’impossibile conciliazione delle parti in causa- si manifesta sempre di più la mancanza di un reale ed effettivo “processo di pace”, che veramente curi le conseguenze del conflitto e sradichi le sue cause politiche. Il documento di Abian fa un bilancio della nuova fase, a tratti fortemente autocritico. “Inizialmente abbiamo pensato che bastasse cavalcare l’onda sull’inerzia del movimento che avevamo creato. Tuttavia, l’onda si è esaurita sotto i nostri piedi, e non abbiamo compreso che, oltre ad approfittare dell’onda, un movimento trasformatore deve saper generarne di nuove”.

Il cambiamento politico non è riuscito ad accumulare forza ed energie, al contrario si percepisce un’aria di stagnazione e un calo della mobilitazione sociale. La situazione dei prigionieri politici non è migliorata affatto, dato che lo Stato spagnolo sta boicottando tutti i tentativi di una risoluzione democratica del conflitto. Un’altra delle questioni centrali nel dibattito è il rapporto tra i movimenti sociali e gli spazi istituzionali autonomi, dove la sinistra indipendentista ha un’ampia rappresentanza con la coalizione Bildu e il partito Sortu. “Non siamo riusciti a portare al movimento popolare il contributo della Izquierda Abertzale –affermano- e riportare dentro le nostre strutture il punto di vista del movimento”.

Ma al di là delle dinamiche specifiche del progetto politico basco, la sinistra indipendentista s’interroga sulla costruzione e sulla forma di un nuovo soggetto sociale capace di incidere in una società rapidamente mutata con il nuovo secolo. “Viviamo un cambiamento sociologico profondo: forti tendenze individualiste, calo dell’adesione politica, nuove percezioni intorno alla partecipazione politica… La vecchia epica non risulta attrattiva alla società postmoderna”. Insomma, un dibattito che trascende il contesto basco, e che può ispirare e far riflettere tutti i soggetti trasformatori delle società complesse del capitalismo avanzato. Un dibattito che assume particolare rilevanza perché s’inserisce nel complesso e vivace panorama politico dello Stato spagnolo, dialogando continuamente con il fenomeno Podemos e con la formidabile ascesa della sinistra anticapitalista catalana della Cup.

La sinistra basca può e deve uscire rafforzata da questo processo, ne ha la capacità e le forze per farlo.

Il ritorno di Otegi non cambia le carte in tavola, ma la sua figura rivestirà certamente un ruolo cruciale anche in questo nuovo processo: per quello che rappresenta e per la sua grande intelligenza politica, alimentata anche dallo studio profondo e sistematico realizzato in carcere. La prigionia ha poi aumentato il senso di appartenenza che lo lega alla sinistra basca. Se la sua figura riecheggia internazionalmente con lo slogan “Free Otegi, free them All”, nei Paesi Baschi, con affettuosa familiarità, militanti di diverse generazioni lo chiamano semplicemente “Arnaldo”.

Davide Angelilli da il manifesto