La disavventura di un medico italo-giordano
Ha suscitato sconcerto e un’ondata di solidarietà l’episodio di cui è rimasto vittima il medico palestinese Khaled Rawash.
Il 24 marzo, Khaled – che vive in Italia da 37 anni e ha la cittadinanza da 30 – si reca a Tunisi per partecipare a un convegno sugli immigrati in carcere, organizzato dall’associazione Tamici. Ci va in qualità di esperto, perché esercita nel carcere di Imperia, città dove risiede, e la popolazione detenuta è in maggioranza composta da immigrati, prevalentemente nordafricani di credo musulmano.
Sabato 26, il medico riprende l’aereo di ritorno con la figlia Sara, 25 anni. Destinazione, Nizza, da dove è più agevole rientrare a Imperia. Solo che, una volta atterrato, viene fermato dalla polizia francese e condotto – “con modi bruschi e arroganti” – racconta al manifesto – verso la zona dei controlli, dove viene tenuto per circa un quarto d’ora. Rawash li segue tranquillo. E’ sposato con una psichiatra italiana ed ha il doppio passaporto giordano- italiano. Durante i mesi del presidio No Border, mobilitato alla frontiera tra Ventimiglia e la Francia, Rawash è stato in prima fila nella difesa dei migranti, ma non ha precedenti penali. “Non capivo il motivo del fermo, non ho mai svolto attività politica sul suolo francese”, racconta ancora.
Eppure, qualcosa va storto: i poliziotti dicono che non può passare e vogliono rispedirlo a Tunisi. Inutili i tentativi di Rawash di poter comunicare con le autorità italiane. “Ho chiesto che almeno mi portassero alla frontiera con l’Italia, ma sono stati irremovibili – denuncia –. Mi hanno consegnato un foglio con su scritto che non ero gradito sul territorio francese e che avrei dovuto tornare a Tunisi a mie spese”.
Respinto, come un migrante senza passaporto. A Tunisi, dopo una notte in cella all’aeroporto, Rawash prende un aereo per Milano. Poi, si reca alla questura di Imperia, ma lì nessuno sembra essere al corrente. La senatrice Pd Donatella Albano ha presentato un’interrogazione parlamentare.
I legali di Khaled hanno presentato ricorso. I movimenti e le associazioni preparano un’assemblea pubblica con Legal Team. Intanto, invitano a diffondere l’hastag: #ancheiosonokhaled