C’è chi contro di lei chiede il ripristino della pena di morte
Partiamo dai fatti di questi giorni. Il Messagero “scopre” il profilo finto di Doina Matei su facebook, la donna condannata a 16 anni per l’omicidio preterintenzionale di Vanessa Russo, e fa un articolo pubblicando le foto che la ritraggono sorridente e in costume. Quelle immagini fanno il giro del web e delle redazioni dei giornali, suscitando molta indignazione. Ventiquattrore dopo il magistrato di sorveglianza sospende la semilibertà. Perché Doina non è libera, non ha finito di scontare la pena, di giorno lavora in una cooperativa sociale, la sera torna in carcare. Sono passati più di otto anni da quando sta scontando la pena, ma per molti che commentano quelle immagini solo l’idea che Doina possa sorridere, possa anche lei rifarsi una vita, è un’offesa nei confronti della vittima. Non c’è spazio per la speranza, per il perdono. Non c’è spazio per l’articolo 27 della Costituzione che parla di rieducazione e di pene che non siano contrarie al rispetto della persona. Non c’è neanche spazio per la legge Gozzini che prevede le misure alterntive al carcere. Doina, secondo molti, deve stare in galera per tutta la vita.
L’avvocato Nino Marazzita, che difende la donna romena, ha confernato il legame tra le foto su facebook e la decisione del giudice di sorveglianza. L’ordinanza di sette righe non fa un diretto riferimento, in sette succinte righe sospende semplicemente la semilibertà. Ma il legame, ribadisce l’avvocato, è evidente. La sequenza dei fatti del resto lascia poco spazio ad altre ricostruzioni: la decisione è arrivata poche ore dopo la polemica mediatica.
I toni dei commenti sui social e sotto gli articoli dei giornali sono di varia natura. Si va dalle critiche, più o meno garbate, rispetto alla mancanza di buongusto di Doina alla richiesta di ripristinare la pena di morte. Nei confronti di Doina c’è un’aggravante: non solo ha ucciso, anche se non voleva. Doina è romena. E’ straniera. Doina ha ucciso un’italiana. Doina è una poco di buono.
La domamda che sorge leggendo questi commenti è come si possa nutrire tanto odio e tanto rancore nei confronti di una donna che tenta di rifarsi una vita, ma in generale come si possa provare odio nei confronti di un sistema di garanzie che ha lo scopo di non scadere mai nella vendetta. Beccaria oggi inorridirebbe e insiema a lui chi ha cuore lo stato di diritto. Chi ha a cuore la pietà.
La convinzione è che quel sorriso possa ledere i diritti e il ricordo della vittima. A prima vista potrebbe sembrare un ragionamento esatto. Ma a pensarci bene anche in questa frase apparentemente condivisibile e innocente è sotteso lo spirito di vendetta. Doina deve soffrire, Doina non deve scontare la pena, deve essere sottoposta a un trattamento che si avvicini il più possibile al fine vita. Veronica Russo non torna in vita, non si lenisce il dolore, più che legittimo, dei gentiori della ragazza uccisa. Si prova piacere nel vedere che un’altra persona soffre, che anche un’altra donna viene privata di un sorriso.
Le urla di gioia che hanno accolto la notizia della sospensione della semilibertà confermano questa analisi. La vittima interessa in maniera relativa, importante è esprimere il sentimento di disprezzo nei confronti del reo, considerato come un appestato. Qualcuno, appunto, lo ha detto in maniera esplicita: ah che bello se ci fosse la pena di morte. E allora, io mi chiedo, come è stato possibile che siamo diventati una società fondata sull’odio, sulla vendetta, sulla ghigliottina? Sentimenti simili sono sempre esistiti, ma oggi sono più diffusi e radicati nella cultura delle persone. Qualcosa di brutto e di profondo è avvenuto in una società che non sa più pensare il perdono. Qualcosa di grave, che va analizzato e contrastato. Prima che sia troppo tardi.