Street artist, attivisti, giornalisti ricordano Regeni anche combattendo contro il regime di al-Sisi. Arrestati anche gli altri membri del gruppo satirico “Bambini della strada”
Le indagini proseguono «a 360 gradi», dicono gli investigatori egiziani. «Non so se si arriverà mai alla verità sulla morte di Giulio Regeni», risponde il pm italiano Pignatone. Qualche ora prima di incontrare il team investigativo della Procura di Roma volato al Cairo nel fine settimana, le parole del procuratore capo lasciavano trasparire il senso di impotenza che regna sull’omicidio del giovane ricercatore.
Manca sempre un tassello nella labile cooperazione egiziana. Di sicuro molto più profondo e palpabile è un altro tipo di collaborazione: la solidarietà degli attivisti egiziani che di Giulio hanno fatto un simbolo proprio, un compagno, lo specchio delle brutalità subite ma anche della lotta dal basso. Un legame che gli street artist egiziani raccontano con i murales: il volto di Giulio appare per le strade del Cairo, disegnato da artisti come El Teneen, iAhmed e Naguib. Opere che a breve arriveranno anche a Berlino, dicono.
«Giulio era uno di noi ed è morto come uno di noi», è la frase più ricorrente tra i giovani egiziani. Persone che utilizzano ogni mezzo a disposizione per tenere vivi lo spirito e le aspirazioni della storica rivoluzione di piazza Tahrir: lo fanno sui muri, nelle poesie, nelle piazze, sui social network, rischiando molto spesso la libertà.
Esemplare è il caso dei giovanissimi egiziani del gruppo satirico Aftal al-Shawarea, letteralmente “bambini di strada”: dopo il 19enne Izz el-Din Khaled, arrestato dalla polizia all’alba di domenica nella sua casa al Cairo, ieri è toccato ad altri quattro membri del gruppo, Mohammed Adel, Mohammed Yehia, Mohammed Gabr e Mohammed Desouki. Resta fuori, per ora, solo Mohammed Zein.
L’accusa è di aver deriso il presidente al-Sisi e le istituzioni dello Stato e aver incitato le proteste popolari attraverso video satirici pubblicati online. Microfono alla mano, i ragazzi girano per le strade del Cairo e raccontano con ironia le quotidiane tragedie del popolo egiziano. I loro video sono popolarissimi: si va dalle 250mila ai due milioni di visualizzazioni.
Sale, così, il numero di arrestati: nel solo mese di aprile quasi 1.300 egiziani sono finiti dietro le sbarre per le manifestazioni anti-governative scoppiate tra il 15 e il 25 aprile dopo la cessione delle isole di Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita (per la prima volta dall’estate 2014, quando al-Sisi svestì i panni del generale per quelli del presidente, migliaia di persone si sono riversate nelle strade). Di questi, 577 sono accusati di violazione della legge anti-terrorismo. Tra loro ci sono giornalisti come Amr Badr e Mahmoud El-Sakka, attivisti come Sana Saif, avvocati come Malek Adly e Ahmed Abdallah, consigliere della famiglia Regeni.
Tra gli strumenti di punizione collettiva più usati dal 2013 c’è la detenzione preventiva: proprio ieri un rapporto della Egyptian Initiative for Personal Rights ha documentato i casi di 1.464 persone ancora agli arresti, ben oltre il limite previsto di due anni, senza processo né accuse ufficiali.
A controbattere all’ondata repressiva è il sindacato della stampa, protagonista nelle ultime due settimane di un braccio di ferro senza precedenti con il governo. Ma tenere insieme le diverse anime del mondo dell’informazione non è facile e il fronte pare non reggere ai tentativi disgregativi dei media più vicini all’esecutivo. Dopo la contro-assemblea del quotidiano al-Ahram che tenta di delegittimarne i vertici, il sindacato sta preparando un memorandum per il procuratore generale. L’obiettivo – dice il segretario Qalash – è spiegare le ragioni del conflitto con il Ministero degli Interni.
Ieri la segreteria del sindacato si è incontrata con la commissione parlamentare per la stampa, a cui il parlamento ha dato l’autorità di negoziare con i giornalisti. Nella sede del sindacato si è discusso di una possibile risoluzione dello scontro, ma pare che per ora non siano stati raggiunti accordi.