Cosa è successo a Donald Foumbu Mboyo, morto ammanettato?
- giugno 21, 2016
- in malapolizia, razzismo
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Un ragazzo di 30 anni è morto lunedì scorso, a Conegliano, un comune di circa 35.000 abitanti nella provincia di Treviso, in Veneto. Si chiamava Donald Fombu Mboyo ed era un cittadino del Camerun, da dieci anni in Italia. E’ morto all’incrocio tra due strade – via Daniele Manin e via Luigi Galvani-, su un’aiuola spartitraffico. Ed è morto ammanettato.
Prima di morire, Donald era stato infatti fermato dalla polizia per un controllo. Dalle prime ricostruzioni effettuate dalla stampa locale, sembra che la vittima fosse già nota alle forze dell’ordine per reati legati allo spaccio, e che al momento in cui è stato bloccato fosse in stato di agitazione, “forse a causa di qualche bicchiere di troppo”. Sempre stando a quanto scritto dai media locali, l’uomo, privo di permesso di soggiorno, aveva ricevuto un foglio di via, ordine a cui non avrebbe ottemperato: sarebbe questo il motivo per cui avrebbe “cercato di fuggire al controllo delle forze dell’ordine”.
Tutti elementi che devono ancora essere chiariti. E che, è bene specificarlo, anche se fossero confermati, in ogni caso non legittimerebbero in alcun modo un eventuale comportamento violento delle forze dell’ordine durante il fermo.
Donald è morto a pochi metri dal bar dove i membri della comunità camerunense della zona spesso si riuniscono. Un luogo nella periferia del paese, “un quartiere come tanti altri nelle nostre periferie dove non c’è niente, le uniche luci quelle al neon viola di una sala slot sotto il portico di un grosso palazzone di cemento”, scrivono i membri del centro sociale Django di Treviso, che hanno incontrato i rappresentanti della comunità camerunense e gli amici di Donald. “Abbiamo deciso di incontrarli per cercare di capire, perché sono tante le ombre in questa vicenda, e per portare il nostro supporto e non lasciare sola una comunità ferita profondamente dalla morte di un fratello”.
Le ombre sono tante: in effetti quanto successo è ancora poco chiaro. La Procura ha aperto un fascicolo in cui i due agenti che hanno preso parte al fermo sono accusati di omicidio colposo. “Un atto di garanzia nei confronti degli indagati”, secondo il sostituto procuratore Barbara Sabattini.
Le indagini sono in corso, e le circostanze in cui si è consumato il fermo dell’uomo, e in cui è avvenuto il decesso, sono ancora da chiarire. Ce lo confermano al telefono gli avvocati che stanno seguendo il caso per conto dei familiari della vittima: “La perizia definitiva dell’autopsia predisposta sul corpo della vittima arriverà tra 60 giorni. Ad oggi, non possiamo assolutamente escludere la morte per asfissia meccanica, ossia per compressione del torace. Le indagini sono e restano in corso”.
Nonostante questo i giornali locali e la Questura sembrano dare per certa una versione: la morte per infarto. Una versione diffusa subito dopo la notizia del decesso: “L’uomo è un immigrato irregolare, aveva 30 anni ed era già conosciuto alle forze di polizia. Secondo i primi accertamenti, l’uomo sarebbe prima sfuggito a una volante che voleva fermarlo per un controllo. Due ore dopo, la polizia lo ritrova sempre in via Manin davanti a un locale. Lo rincorre e riesce a fermarlo. L’uomo risponde dimenandosi e morsicando i poliziotti, poi, secondo il racconto degli agenti, si accascia e muore. Secondo la polizia si tratta di un infarto”, si legge sul Corriere del Veneto. “Mentre la polizia stava per ammanettarlo si è accasciato a terra e non si è più rialzato”, scrive BlitzQuotidiano. Lo stesso Questore di Treviso a indagini ancora in corso dichiara su La Tribuna di Treviso: “Gli agenti hanno semplicemente fatto il loro dovere. Sono umanamente vicino a loro, come anche ai familiari della persona deceduta, perché capisco che un fatto del genere ha provocato un trauma: il nostro mestiere è fatto anche di questi tragici imprevisti”.
Ma mentre per alcuni la vicenda sembrerebbe già chiusa, altri non concordano con la versione ufficiale, né con il fatto che quanto sia avvenuto venga derubricato a un “imprevisto”: primi fra tutti, gli amici di Donald, ma anche i membri del Cso Django e delle associazioni Cam-Veneto Info, Ascaf Italia, Razzismo Stop Treviso, che si stanno mobilitando per chiedere che sia fatta luce sull’accaduto.
Subito dopo il decesso, i membri della comunità camerunense si sono messi in contatto con i parenti della vittima, residenti in Inghilterra e negli Stati Uniti, e con la fidanzata, una giovane ragazza di cittadinanza italiana, al terzo mese di gravidanza; per poi riunirsi in presidio permanente davanti al Commissariato di pubblica sicurezza. Un’iniziativa “del tutto fuori luogo e inopportuna”, commentava il sindaco Floriano Zambon, PdL, proseguendo: “qui non siamo in Egitto, non serve andare per strada a chiedere indagini imparziali”.
Ma è evidente che i diretti interessati non sono d’accordo: né con quanto dichiarato dal sindaco, né con le affermazioni della Questura, e neppure con quanto scritto dai media locali. Chiedono che sia fatta luce sulla vicenda. “Testimoni affermano che gli agenti di pubblica sicurezza lo hanno ammanettato e immobilizzato, nello specifico che uno degli agenti gli è montato sopra il torace per diversi minuti mentre l’altro cercava una corda per legargli i piedi. Quando Donald ha iniziato a sentirsi male, malgrado le sue condizioni siano apparse da subito gravi non è stato liberato dalle manette”: questo è quanto affermano i membri di Django dopo aver incontrato i conoscenti della vittima.
“La morte di Donald è solo l’ultimo capitolo di una lunga serie di intimidazioni che subiamo da anni ogni giorno – affermano i membri della comunità camerunense, denunciando un clima di intimidazioni e vessazioni, con frequenti irruzioni della polizia all’interno del bar, continui controlli d’identità, fogli di via rilasciati ai frequentatori non residenti nel Comune… “Chiediamo che venga fatta luce sugli eventi che hanno portato alla sua morte. Rivendichiamo il diritto ad essere rispettati e considerati come esseri umani”. Una rivendicazione cui dare eco e forza, anche considerando il processo di normalizzazione – e la conseguente diffusione – del razzismo e dei discorsi d’odio, a cui assistiamo ormai da tempo. Ne sono una spia alcuni gravi commenti alla notizia apparsi sul sito dell’Ansa: “Uno in meno”, “Occhio alle spese del funerale,vediamo se le paga l’ambasciata del Camerun”.