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17-18 giugno 1973. Sui detenuti in rivolta manganelli e raffiche di mitra

Giugno 1973 fu un mese molto caldo nelle carceri italiane. Da anni era in corso un forte movimento di protesta contro le disumane condizioni di detenzione e per la riforma dell’ordinamento penitenziario, rafforzato dalla presenza in carcere di centinaia di militanti arrestati per le lotte sociali e le pratiche antifasciste. All’epoca il dettato costituzionale sulla finalità riabilitativo della pena non trovava nessuna applicazione reale. Lotta continua, all’epoca, supportava con forza il movimento con la sua commissione carceri e il suo quotidiano ci offre una dettagliata ricostruzione dell’ondata di rivolte che si scatena a metà mese.

Rebibbia
CIRCONDATI DA UN ESERCITO DI BASCHI NERI, I DETENUTI DAI TETTI CHIEDONO DI PARLARE CON UN MEMBRO DEL PARLAMENTO

ROMA, 18 giugno – Nelle prime ore del pomeriggio di sabato, dopo l’aria, un gruppo di detenuti del G8, rifiuta di entrare nelle celle e raggiunge il tetto del carcere. Sono una cinquantina ad iniziare la protesta contro la notizia del pestaggio di 5 detenuti. Subito reparti della celere e dei carabinieri vengono fatti affluire nel carcere. Si cerca di circoscrivere la protesta, di trattare con ·i detenuti, di convincerli a rinunciare. La notizia della protesta si diffonde solo verso sera.

Un gruppo di compagni si raccoglie davanti al carcere e cerca di comunicare con i detenuti, ma i bracci in lotta sono all’interno, inavvicinabili,  tanto dalla Tiburtina quanto dalle strade laterali che sono presidiate dalle pantere. Attraverso i campi, i compagni riescono ad avvicinarsi ai bracci G11 e G12. Si vedono le ombre dei detenuti sui tetti e si lanciano slogan, Immediatamente si rompe il silenzio e da ogni cella i detenuti rispondono agli slogan dei  compagni sventolando dalle finestre delle bandiere rosse: il frastuono delle gavette contro le sbarre è assordante. I fari del carcere, accesi all’improvviso,  illuminano a giorno tutta la zona e dal carcere, si moltiplicano le urla. La polizia minaccia i compagni che si allontanano.

Nella notte vengono abbattute le porte delle celle, i detenuti si asserragliano nella rotonda. Centinaia di carabinieri e agenti si dirigono su Rebibbia e interi reparti della celere e dei vigili del fuoco occupano il cortile del carcere. All’alba la polizia ha sopravvento. 70 detenuti vengono picchiati selvaggiamente e rinchiusi nelle celle di isolamento. Di almeno uno si ha notizia certa che è stato caricato svenuto su una macchina della polizia e portato al centro clinico di Regina Coeli con un lungo giro per seminare i giornalisti.
C’è un clima d’attesa. Si capisce che non è finita là. I detenuti sono affacciati alle celle e la polizia continua a presidiare la zona. Sventolano ancora bandiere rosse e dalle sbarre gridano ai compagni: «ci hanno ammazzati di botte», «non andate via». Chiedono una dimostrazione di appoggio alla loro lotta. Gridano “libertà”, dalla finestra di una cella pende un drappo bianco su cui è scritto: «amnistia, S.O.S.! ». Domenica pomeriggio, dopo l’aria, la lotta riesplode e si estende a tutti gli altri bracci. AI G11,  i 130 detenuti raggiungono il tetto della rotonda, altre centinaia li raggiungono poco dopo.

Tutti gridano slogan o battono le gavette contro le sbarre e cantano bandiera rossa. I compagni arrampicati su una collinetta parlano con i detenuti e possono sentire quello che dicono. Ci sono’ anche giornalisti e fotografi: una conferenza stampa gridata sulla testa di guardioni, vicequestori e funzionari della direzione: «siamo tutti compatti; vogliamo il nuovo codice e la riforma. Buonamano (l’ispettore) ci ha dato un ultimatum, ha detto che entro le 19,30 dobbiamo scendere, ha detto che l’abbiamo accolto con i bastoni. Invece, lo vedete, noi abbiamo solo le mutande e vogliamo fare una protesta  pacifica. Loro ci vogliono massacrare» .

Poi arrivano altre notizie: anche al femminile si sono barricate e fanno lo sciopero della fame. Anche gli anziani, quelli cioè che non hanno potuto arrampicarsi, fanno lo sciopero della fame.
Alle 19,30, allo scadere dell’ultimatum, la tensione è enorme. Sul camminamento, tra la folla fuori e i detenuti, appare il dottor Gabriotti. Incominciano le urla: “eccolo là il massacratore, il dottor Gabriotti, è il capo del personale, quello che comanda le cariche”. Dai detenuti chiusi nelle celle e nei passaggi riparte il frastuono dei gavettini e lo sventolio dei drappi rossi.

La polizia, manganelli alla mano, allontana tutti quelli che sono all’esterno mentre i detenuti che vedono urlano: «fascisti infami» e cantano bandiera rossa. 7 compagni vengono fermati.
Stamattina i detenuti sono ancora sui tetti. Si viene a sapere che molti sono stati ammassati e rinchiusi nelle celle d’isolamento. Alle 10,30, alle 10,50, alle 13,15 si sentono chiare le raffiche di mitra e i colpi di pistola. Si saprà poi che un detenuto è stato ferito da colpi di arma da fuoco: la notizia è confermata anche dalla procura, ma non si conoscono le sue condizioni. Sul carcere intanto sono arrivati anche gli elicotteri che sorvolano tutta la zona. Due fotografi , dalla parte del cancello principale. rei di aver tentato di fotografare l’esercito di polizia e baschi neri in assetto di guerra, vengono fermati e portati via.

Alle 14,30 mentre cresce il numero dei compagni, dei parenti, dei proletari fuori dal carcere, i detenuti sono ancora sui tetti e chiedono di poter trattare non più con la direzione o con i magistrati, ma con un membro della commissione giustizia della camera per chiarire le loro posizioni e per avere chiarimenti sui tempi per la discussione parlamentare sulla riforma dei codici. Intanto nel pomeriggio sono continuate le provocazioni: due donne, che per parlare con i loro familiari sul tetto del carcere avevano forzato il picchetto di polizia, sono state arrestate.
ULTIM’ORA . Si ha notizia che a Rebibbia stanno cominciando i trasferimenti in massa.

Torino
RIPRENDE LA LOTTA ALLE NUOVE. MARZACHI IL MAGISTRATO DI TURNO, FA INTERVENIRE PESANTEMENTE LA POLIZIA

A due mesi dallo sciopero della fame fatto in aprile dai 600 detenuti delle Nuove, la lotta è ripartita ieri sugli stessi obiettivi: riforma del codice,  riconoscimento dei diritti più elementari negati dagli attuali regolamenti carcerari. Alle 11,15, quando finisce l’aria, un centinaio di detenuti del V e VI braccio (dove la stragrande maggioranza è in attesa di giudizio rifiutano di rientrare, alcuni si siedono per terra, decisi a non muoversi altri raggiungono il tetto dell’edificio e scandiscono gli slogan della loro lotta: “Libertà”, “Riforma dei codici”, “Non vogliamo più essere trattati come bestie”. Chiedono di parlare con un magistrato. Poco dopo arriva Marzachi, noto per la sua profonda vocazione forcaiola e antiproletaria e insieme a lui arrivano anche i carabinieri in assetto di guerra con lacrimogeni, camionette, cani poliziotto.

Tutta la zona intorno alle Nuove è in stato di assedio; la scusa è che non vogliono correre il pericolo di qualche evasione, dopo l’evasione clamorosa di qualche settimana fa. Intanto, intorno alle Nuove si raccoglie una folla di parenti, di amici, di proletari, che gridano slogan. Dentro al carcere ‘Marzachi pone il suo ultimatum: se tutti rientreranno in cella lui farà conoscere alla stampa gli obiettivi della lotta; ma se rimangono sui tetti, farà intervenire la polizia.

L’ultimatum ‘è fissato per le 18. Dopo 10 minuti, alle 18,10, nessuno è ancora rientrato in cella. Marzachi mantiene la promessa e la polizia, con elmetti, scudi, manicotti speciali, entra dentro il carcere . Si sentono numerosi colpi di arma da fuoco (poi si dirà che si trattava solo di candelotti lacrimogèni). Arrivano anche i cani poliziotto, quelli che, come spiegano oggi i giornali, “vengono normalmente usati nelle manifestazioni per l’assalto ai dimostranti”. Dopo “quest’opera di pacificazione alle Nuove «itorna la calma”, e subito cominciano i trasferimenti.

La notte stessa alcune decine di detenuti partono con 5 cellulari scortatida carabinieri. La destinazione, come sempre, sono le più schifose carceri italiane. Il magistrato, Marzachi afferma che i trasferimenti erano già previsti secondo la normale amministrazione. Il cappellano delle Nuove sostiene che sono solo 6-7. Infine, l’ultima rappresaglia: «non dirò niente alla stampa – dice Marzachi – perché i detenuti non hanno rispettato i patti e sono rientrati in cella troppo tardi. Ma non c’è più bisogno di lui, né delle sue mediazioni perché la lotta dei detenuti esca dal ghetto in cui per anni si è tentato di chiuderla .

Genova
MENTRE ALLO STADIO FESTEGGIANO IL GENOA, I DETENUTI SALGONO SUI TETTI DI MARASSI

GENOVA 18 giugno Domenica pomeriggio: nello stadio «Luigi Ferraris», che dista pochi metri dal carcere, sono in corso i grandi festeggiamenti per il Genoa che entra in serie A: lancio di paracadutisti al centro del campo e fuochi artificiali e migliaia di tifosi plaudenti. Alle 16, un’ora prima dell’inizio della partita, come scrive il Corriere della Sera, tutti i 60.000 spettatori erano già ai loro posti mentre volavano i primi paracadutisti.
Alle 16 i detenuti del carcere di Marassi contiguo allo stadio, dopo essersi rifiutati di rientrare nelle celle, sono saliti sui tetti e rivolgendosi alla folla che riempiva lo stadio hanno gridato i motivi della lotta di tutti i detenuti: «vogliamo la riforma dei codici»; «Andreotti sei un buffone»; vogliamo il comunismo; «abbasso il codice fascista». II frastuono dello stadio ha impedito che la folla si accorgesse dei detenuti. A chi se ne è accorto la polizia ha detto che li avevano fatti salire sui tetti per vedere la partita. Le autorità carcerarie comunque erano terrorizzate all’idea che nello stadio ci si potesse accorgere di quanto stava accadendo nel carcere e per questo hanno aspettato la fine della partita, per far intervenire direttamente la polizia che infatti ha circondato subito il carcere, ma è intervenuta solo in serata: è entrata nei bracci con i manganelli, e mentre già tutti i detenuti stavano rientrando in cella, li ha massacrati di botte.

San Gimignano
SCIOPERO DELLA FAME NEL CARCERE INTERVIENE LA POLIZIA

SAN GIMIGNANO (Siena), Anche nel carcere di San Gimignano è cominciata la lotta. I detenuti hanno iniziato venerdì scorso , rifiutando il latte che la direzione dà per colazione. Questa è stata solo la prima avvisaglia, infatti sono passati subito a organizzare lo sciopero della fame. I detenuti si sono poi concentrati nel cortile del carcere, precisando i loro obiettivi, che sono gli stessi obiettivi per cui lottano i detenuti in tutti i carceri d’Italia : abolizione del codice fascista, migliori condizioni all’interno del carcere. La risposta della direzione a questa iniziativa è arrivata puntualmente. La notte di sabato, i poliziotti sono entrati nel carcere, costringendo i detenuti a ritornare nelle celle. Durante la notte una quindicina di detenuti sono stati trasferiti .

FONTE: Lotta Continua, 19 giugno 1973

(da https://www.ugomariatassinari.it/carceri-in-rivolta/#more-8723)