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Da 2 anni al 41 bis: non è mafioso, il ministro tace e il giudice anche

Il 28 ottobre 2019 la Corte di appello di Reggio Calabria ha ridotto la pena da 27 a 13 anni, riqualificando il reato, escludendo l’aggravante mafiosa.

Dopo la risposta inevasa da parte del ministero della Giustizia sulla richiesta di revoca del 41bis, ancora tarda ad arrivare quella della magistratura di sorveglianza.

Da quasi due anni si trova ininterrottamente recluso al regime duro, nonostante che nel frattempo i giudici hanno non solo escluso la sua posizione di promotore dell’ipotizzata associazione semplice (e non mafiosa), ma gli è stata esclusa la circostanza di aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 7, L. 203/91.

Parliamo della vicenda, recentemente già trattata da Il Dubbio, di un calabrese settantenne, Nicola Antonio Simonetta, che rimane ancora al 41bis nel carcere di Parma, nonostante la presenza di due sentenze che escludono la partecipazione al sodalizio mafioso.

Il suo avvocato difensore Maria Elisa Lombardo, del foro di Locri, aveva fatto istanza direttamente al ministro della Giustizia per chiedere l’immediata revoca del regime del carcere duro visto che non ci sono più i presupposti. A questo si aggiunge anche la sua delicata condizione di salute: ha il morbo di Crohn.

Se trasferito nel centro clinico di altro regime, infatti, potrà con maggiore facilità essere curato. Ma il guardasigilli non solo non ha disposto la revoca (come è invece accaduto con Massimo Carminati quando gli era stata decaduta l’associazione mafiosa), ma non ha dato alcuna risposta in merito. Passati oramai due mesi, l’avvocata Lombardo ha quindi fatto istanza il 2 gennaio scorso al tribunale di sorveglianza di Roma che ha la competenza per il 41bis.

La richiesta di revoca si basa quindi alla luce delle sopraggiunte pronunce che ne fanno venire meno i presupposti giuridici. Il 28 ottobre del 2019 la sentenza dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, Simonetta ha visto più che dimezzata l’originaria condanna che è stata ridotta da 27 a 13 anni, previa riqualificazione del reato, non più promotore dell’ipotizzata associazione semplice.

Nella medesima pronuncia è stata esclusa l’aggravante mafiosa. Prima ancora, il 26 luglio scorso. è stata emessa altra sentenza dal Tribunale Penale di Locri, nel quale il Collegio ha assolto Simonetta dall’ipotesi di reato associativo di stampo mafioso ed ha disposto l’inefficacia della misura cautelare con immediata scarcerazione.

Alla luce delle pronunce sopraggiunte, coerenti fra loro, nelle quali si esclude il coinvolgimento di Simonetta a contesti mafiosi e anche il solo utilizzo del metodo mafioso, appare quindi evidente che sono venuti meno tanto i presupposti quanto le motivazioni che hanno animato l’originaria richiesta applicativa del 41bis.

Di tutto ciò, da ribadire, è stato edotto anche il ministro della giustizia a fine ottobre. Ma, ad oggi, nessuna risposta. Come se non bastasse, il recluso versa in condizioni precarie di salute tanto da essere collocato nel Centro Clinico del carcere di Parma: il trasferimento presso altro centro clinico di altro regime, gli potrebbe consentire maggiore facilità nelle cure nonché maggiore sostentamento da parte della famiglia.

Intanto si è in attesa, oramai da quasi due settimane, di una risposta da parte della magistratura di sorveglianza. Resta da domandarsi se tutto ciò risulti rispettoso dei principi dello Stato di Diritto, quando un uomo, nonostante non ci siano i presupposti, rimanga recluso nella frontiera massima dell’intervento punitivo dello Stato.

Damiano Aliprandi

da il dubbio