Il 21 giugno del 1978 un reparto della clinica ostetrica del Policlinico di Roma viene occupato da un gruppo di compagne assieme ad alcuni lavoratori del complesso e alle donne in attesa di interrompere la gravidanza.
La scelta del luogo non è casuale: si tratta infatti del reparto fino a poco tempo prima riservato ai clienti “di riguardo” di alcuni personaggi di spicco del Policlinico che sposavano la logica di un’assistenza ospedaliera di prima e seconda classe.
Il reparto, chiuso ed inutilizzato ormai da un paio di anni, viene dunque occupato per far fronte all’esigenza di uno spazio in cui le donne possano affrontare consapevolmente la scelta dell’aborto e in cui scardinare l’idea dell’interruzione volontaria di gravidanza come di un intervento da attraversare come soggetti totalmente passivi.
Per i collettivi femministi protagonisti dell’occupazione la scelta è tutt’altro che lineare o libera da dubbi in quanto cozza fortemente con una realtà controversa, quella della neonata legge 194 sull’aborto.
Una legge che trasforma l’interruzione di gravidanza in una mera trafila ambulatoriale, in qualcosa di cui bisogna continuare a vergognarsi un po’ e che, tramite lo strumento dell’obiezione di coscienza, lascia ampi margini per la sua non applicazione.
Lo scenario non è dunque dei più allettanti e alcune realtà decidono di tenersene a distanza, senza però, di fatto, indicare una via alternativa per organizzare un cambiamento; la scelta del Collettivo Policlinico è quindi quella di mettersi in gioco e di sporcarsi le mani con l’esistente, non certo con l’intento di sostituirsi alle istituzioni, quanto piuttosto di metterne in luce le responsabilità ed i limiti e di controllare l’operato dei medici tramite una presenza costante all’interno del reparto occupato.
Non si tratta dunque di una cogestione di potere assieme alle istituzioni, poiché i medici vengono controllati e indirizzati secondo le esigenze delle donne, senza dimenticare il fattore di crescita politica per le compagne del Collettivo grazie alla presenza costante e duratura all’interno del reparto.
In breve l’azione del Collettivo si allarga dall’ambito dell’interruzione di gravidanza a quello più generale della sfera della salute delle donne (anche i parti, ad esempio, avvenivano spesso in condizioni pessime, con mancanza di strumenti adatti e pressioni psicologiche sulla madre).
Passare attraverso la clinica occupata è fattore di crescita politica e soggettivizzazione anche per le donne esterne al Collettivo: lottare per l’aborto vuol dire rendere complessiva ogni lotta per chiedere salario, per chiedere potere.
L’esperienza ha grande eco e risalto mediatico e comincia ad infastidire alcuni Baroni e “luminari” del Policlinico, sempre più messi in disparte dalla crescente conquista di terreno da parte del Collettivo.
A mal digerire la presenza delle compagne è in particolare il Professor Marcelli che nel mese di Settembre, dopo una riunione con alcuni colleghi, decide di richiedere l’intervento della polizia per sgomberare la clinica e mettere fino al progetto del Collettivo Policlinico.
Il 25 Settembre del ’78, dopo più di tre mesi di occupazione, la polizia irrompere nel reparto e mette fine a questa esperienza, dando però un segno inequivocabile di quanto quel percorso costituisse una lotta reale e fastidiosa per certi poteri forti e dando di fatto a tante donne nuova forza per future mobilitazioni. (da InfoAut)