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27 prigionieri di Gaza morti nelle strutture militari israeliane

Sono almeno 27 i prigionieri palestinesi di Gaza morti all’interno delle strutture militari israeliane dal 7 ottobre, secondo i dati pubblicati dal quotidiano israeliano Haaretz.

di Eliana Riva da Pagine Esteri

Non si sa quanti abitanti della Striscia siano stati portati nel campo di prigionia nella base militare di Sde Teiman, al sud di Israele, vicino Beersheba. Ma si sa cosa hanno raccontato coloro che da quel centro sono stati rilasciati. I detenuti vivono in condizioni estreme, ammanettati e bendati per tutto il tempo, ammassati in un centro costruito come prigione “temporanea” per interrogare e poi trasferire gli indagati ma trasformato, dopo il 7 ottobre, in un campo di prigionia in cui non è garantita assistenza legale, senza strutture adeguate e nessun controllo sulle condizioni di salute. Le persone ritornate a Gaza hanno raccontato di aver subito torture, hanno mostrato lividi, ferite. In base a un emendamento di legge approvato durante la guerra, i detenuti possono essere trattenuti e sottoposti a interrogatori per due mesi e mezzo (75 giorni) senza dover apparire dinanzi a un giudice.

Secondo i dati del servizio carcerario israeliano al 1° Marzo 2024 erano 793 i residenti di Gaza in detenzione amministrativa nelle carceri israeliane. A questi si aggiungono coloro che si trovano nei centri militari, il cui numero le autorità non hanno mai voluto comunicare.

Prigionieri palestinesi di Gaza. (X)

The New York Times ha anticipato un’indagine dell’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei profughi palestinesi, non ancora pubblicata e che conterrà le testimonianze dei detenuti gazawi in Israele. Secondo il rapporto, delle migliaia di persone arrestate a Gaza e portate nei centri militari, tra le quali almeno 1.000 civili, in molti hanno denunciato di essere stati picchiati, spogliati, derubati, bendati, abusati sessualmente.

Il quotidiano israeliano Haaretz ha potuto confermare attraverso proprie fonti le testimonianze di percosse e abusi durante e dopo gli interrogatori. Sono numerosi i video girati all’interno di Gaza che raccolgono i racconti di persone rilasciate dall’esercito che, tornate nella Striscia, hanno spiegato con dovizia di particolari ciò che hanno subito nelle settimane o nei mesi di detenzione. Alcuni sono medici, giornalisti, insegnanti. Le denunce di brutalità cominciano dal momento in cui vengono fermati, e continuano durante gli interrogatori compiuti all’interno di Gaza e poi con gli spostamenti e la carcerazione presso le strutture militari che accolgono adulti ma anche minori e bambini.

I decessi dei prigionieri sono avvenuti non solo a Sde Teiman ma anche ad Anadot, vicino Gerusalemme. Si tratta di una base della polizia di frontiera convertita in un altro campo di prigionia, dedicato questa volta ai palestinesi di Gaza che il 7 ottobre si trovavano in Israele con un regolare permesso di lavoro. Le licenze sono state revocate a centinaia di lavoratori gazawi, i quali sono stati poi arrestati e portati nella base militare nonostante non abbia le strutture e le capacità necessarie ad accogliere un numero tanto elevato di persone. Sono state improvvisate celle simili a gabbie, circondate da recinzioni, senza letti, coperte, senza cibo. In seguito a una denuncia un giudice israeliano ha confermato che le condizioni in cui sono tenuti i lavoratori gazawi a Anadot sono “inadatte agli esseri umani”. Haaretz ha raccolto testimonianze sul precario stato di salute di alcuni dei detenuti che hanno riportato ferite durante la prigionia ma che non sono stati curati. Il trasferimento delle persone malate o ferite negli ospedali è stato ripetutamente negato dai militari.

L’esercito israeliano ha confermato le morti di alcuni detenuti ma si è rifiutato di dare numeri precisi e spiegazioni sulle circostanze, limitandosi a dire che alcuni di loro sono “arrivati in detenzione” feriti o in “condizioni sanitarie complesse”. I portavoce dell’esercito hanno inoltre dichiarato di aver aperto delle inchieste. Ad indagare saranno, però, gli stessi militari responsabili delle strutture e dei loro prigionieri.

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