Sono arrestati con l’accusa di concorso nell’uccisione del commissario Luigi Calabresi, gli ex dirigenti di Lotta Continua, Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani.
Dopo 16 anni di indagini a vuoto, il caso Calabresi diventa il caso Sofri nel 1988, quando Leo nardo Marino, un ex operaio diventato rapinatore – anche lui per anni in LC – dopo essere stato “gestito”, all’insaputa della magistratura, per 17 giorni da un colonnello dei carabinieri, “confessa” di aver partecipato all’omicidio che sarebbe stato compiuto da lui (autista) e da Ovidio Bompressi (killer) su ordine di due dirigenti di Lotta Continua, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani.
Un impianto accusatorio che ha palesemente il sapore del complotto, tesi, questa, però sempre respinta dagli imputati. Otto i processi celebrati. Processi indiziari, tutti basati unicamente sulle dichiarazioni – spesso senza alcun riscontro e palesemente contrastanti – di Marino, con un’assoluta carenza di prove e, addirittura con alcuni dei corpi del reato clamorosamente scomparsi o distrutti.
Otto processi con alterne sentenze, fino alla definitiva: 22 anni per Sofri, Bompressi e Pietrostefani, la prescrizione del reato (cioè neppure un giorno di galera) per Marino.
Otto processi, fino al rigetto, nel gennaio 2000, di un’istanza di revisione, ma che dimostrano la gravissima tendenza, ormai invalsa in gran parte della magistratura italiana, alla costruzione di teoremi accusatori assolutamente non dimostrabili.
Un caso di palese ingiustizia. Ufficialmente – secondo le regole della giustizia italiana – il caso Calabresi è chiuso. Il caso Sofri no.
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