Lo ha deciso la Cassazione accogliendo la tesi del Dap
No alle visite riservate per i detenuti al 41 bis con il garante regionale. La Prima Sezione penale della Cassazione, presieduta da Monica Boni, venerdì scorso ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Perugia che ha consentito al Garante regionale dei detenuti di Lazio e Umbria, l’ex presidente di Antigone Stefano Anastasia, di effettuare un colloquio riservato con il boss della camorra Umberto Onda, detenuto al 41bis a Spoleto ( Perugia). L’istituto di pena di Spoleto aveva negato al Garante di Lazio e Umbria il permesso di incontro riservato con Onda. Contro la decisione, nell’interesse di Onda, era stato fatto ricorso al magistrato di sorveglianza di Spoleto che ha dato ragione al detenuto. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ritenendolo un pericoloso precedente, ha proposto appello al tribunale di sorveglianza di Perugia che ha confermato il provvedimento del giudice spoletino. Di diverso avviso la Cassazione che ha annullato l’ordinanza e il caso dovrà essere riesaminato. In sostanza la Corte suprema ha accolto la tesi del Dap che aveva espresso preoccupazione dopo la concessione al Garante regionale dei detenuti di avere colloqui riservati con i carcerati al 41 bis. Secondo il Dap, consentire a un numero indefinito di soggetti di avere incontri riservati con i detenuti al regime speciale avrebbe creato un vulnus pericoloso, vanificando uno degli scopi per cui il regime carcerario duro è stato introdotto: cioè impedire la comunica- zione dei mafiosi detenuti con l’esterno.
La questione è delicata. Da una parte c’è, appunto, la battaglia intrapresa dal Garante regionale Stefano Anastasìa il quale parla dell’importanza dei colloqui riservati, perché un detenuto al 41 bis dovrebbe avere la possibilità di denunciare eventuali abusi senza che i comandanti di reparto o direttore penitenziari lo sappiano immediatamente; dall’altra, invece, ci si oppone perché un garante può diventare – anche inconsapevolmente – un veicolo di messaggi mafiosi per l’esterno. Va specificato che, dopo l’adesione dell’Italia alla Convenzione Onu del 2002 la quale prevede che ogni Stato abbia una figura istituzionale che possa effettuare colloqui riservati con i detenuti, nel 2014 il nostro Parlamento ha previsto l’istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale con l’emanazione di un apposito regolamento, dove è riconosciuta questa prerogativa: quella di poter parlare in via riservata anche con i detenuti al 41 bis. Compito che, appunto, spetterebbe esclusivamente al Garante nazionale. A parte gli avvocati, i garanti regionali o altre figure istituzionali come i parlamentari, la legge riconosce solo il diritto di far visita, ciascuno per specifiche finalità, ai detenuto al carcere duro, ma non in via riservata.
Una delle obiezioni sollevate dal magistrato di sorveglianza che aveva dato il via libera ai colloqui non riservati con i detenuti al 41 bis, è la mancanza di aggiornamento dell’art. 37 del regolamento dell’esecuzione penale dopo che nell’art. 18 dell’ordinamento penitenziario relativo ai colloqui è stato inserito il riferimento al «garante dei diritti dei detenuti». Viene sottolineato l’uso al singolare dell’espressione “garante”, perché non potrebbe essere inteso come riferito a quello nazionale, che non esisteva ancora quando fu maturato l’articolo appena citato: secondo il magistrato di sorveglianza ne risulterebbe svilita la portata della modifica intervenuta nell’art. 18 ord. penit. e soprattutto una siffatta interpretazione sarebbe illogica, privando i garanti locali di uno strumento conoscitivo diretto e efficace.
Al di là delle legittime posizioni, resta il fatto che i garanti regionali possono, per legge, ricevere reclami in forma scritta anche in busta chiusa, e ciò al fine di assicurare la dovuta riservatezza. Proprio con quest’ultimo punto, si potrebbe aprire l’ipotesi di valorizzarlo visto che una forma scritta può essere anche una tutela per i garanti visto il clima di sospetto che potrebbe verificarsi e anche un eventuale tentativo, da parte del mafioso al 41 bis, di veicolare messaggi all’esterno. Un punto – quello del reclamo a busta chiusa- che, però, secondo il magistrato di sorveglianza del tribunale di Perugia, è anche di forza per sostenere che dovrebbe caratterizzare anche i contatti de visu proprio per consentire al detenuto di sentirsi libero di esprimere le proprie doglianze senza subire condizionamenti di alcun genere. La partita però, per ora, è stata chiusa dalla Cassazione.
Damiano Aliprandi
da il dubbio