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7 aprile 1979: il blitz contro l’Autonomia voluto dal Pci

Il 7 aprile 1979, in una Padova sconvolta da un diffuso clima da guerriglia urbana, con cinquecento e più attentati nel giro di dodici mesi, il sostituto procuratore Pietro Calogero dà il via, con una serie di arresti, a una delle operazioni di polizia più discusse dell’Italia repubblicana.

Si parla quasi subito di Teorema Calogero, un teorema che partendo dai vecchi gruppi dell’ultrasinistra come Potere Operaio, indica nel movimento autonomo il suo erede naturale. Ma è un teorema che fa anche un passo avanti, prospettando l’Autonomia Operaia come un livello del partito armato, le Brigate Rosse. Proprio la tormentata Padova avrebbe accolto – secondo Calogero – i “cervelli” di un partito armato di massa e avrebbe dato loro ospitalità nelle aule della facoltà di scienze politiche.

Ma se a Padova sta la mente indicata da Calogero – il prof. Toni Negri – le diramazioni della “banda” toccano mezza Italia, tant’è vero che a fianco di Calogero, con inchieste parallele e collegate, scende in campo una ventina di magistrati di Roma, Milano, Torino, Trieste, Reggio Emilia. Alla prima ondata di arresti ne seguono altre a dicembre, nel gennaio del 1980, nel marzo successivo: i blitz di Calogero.

Gli anni e i processi hanno smontato quel Teorema pezzo per pezzo. Gli storici del terrorismo sono oggi concordi nell’affermare che Autonomia e Brigate Rosse sono stati due fenomeni ben distinti ed i giudici, a più riprese, hanno confermato quest’ipotesi, assolvendo, salvo poche eccezioni, le decine e decine di persone rinviate a giudizio, cambiando la primitiva accusa di banda armata in quella di associazione sovversiva, arrivando ad emettere condanne per pochi reati specifici.

Molti, in seguito, hanno messo apertamente sotto accusa Calogero ed il suo operato: il 7 aprile sarebbe stato “usato” per forzare un processo di normalizzazione sollecitato dal Palazzo, ma anche da quel PCI nelle cui sezioni Calogero andò a scovare testimoni e riscontri.

Ugo Maria Tassinari