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7 aprile 1979: La grande repressione. Il “teorema Calogero”

Nella mattinata di sabato 7 aprile 1979, su ordine della Procura di Padova vengono eseguiti i primi 22 ordini di cattura contro esponenti dell’Autonomia Operaia. Si tratta di professori e assistenti della Facoltà di Scienze Politiche (ma anche di altre facoltà) dell’Università di Padova, di scrittori, giornalisti e poeti. Si va dai redattori della rivista “Autonomia” e di Radio Sherwood a militanti ambientalisti nella lotta contro il nucleare.

La tesi sostenuta dal Pubblico Ministero Pietro Calogero (che passerà alla storia come “Teorema Calogero”) è che l’Autonomia fossa la struttura di vertice decisionale (una sorta di cupola) delle Brigate Rosse e di altre bande armate operanti in Italia in quel periodo.

I reati contestati sono pesantissimi e vanno dall’insurrezione armata contro i poteri dello Stato alla banda armata, dall’associazione sovversiva a una serie di omicidi tra cui quello del giudice Emilio Alessandrini assassinato a Milano nel Gennaio ’79 da Prima Linea e…nientemeno che quello di Aldo Moro, rapito dalla Brigate Rosse (con l’uccisione dei 5 uomini di scorta) a Roma il 16 marzo 1978 e fatto ritrovare morto il 9 maggio dello stesso anno.

L’inchiesta era divisa in due tronconi: uno padovano e uno romano.

Nell’inchiesta romana Toni Negri, intellettuale ed esponente di primo piano prima di Potere Operaio e poi di Autonomia era addirittura accusato di essere l’autore materiale della telefonata in cui le Brigate Rosse annunciavano alla famiglia Moro lo scadere dell’ultimatum e l’imminente esecuzione del politico democristiano, telefonata effettuata da Mario Moretti, ai tempi uno dei dirigenti politici delle BR.

Gli arrestati verranno ben presto trasferiti nelle carceri speciali che a quei tempi erano disseminate lungo la penisola (il famigerato “circuito dei camosci”).

Il 7 aprile sarà solo il primo passaggio di una serie di operazioni repressive che tenterà di spazzare via per sempre Autonomia con centinaia di arresti. La seconda tranche dell’operazione avverrà il 21 dicembre ’79. Nuovi arresti costelleranno tutto il 1980. Altri blitz si susseguiranno senza soluzione di continuità fino a metà anni Ottanta.

Alcuni elementi contraddistinguono il 7 aprile come “laboratorio” repressivo capace di segnare un vero e proprio spartiacque tra due epoche. Li andiamo ad elencare per sommi capi:

-L’utilizzo massiccio dei media per schierare l’opinione pubblica contro gli arrestati designandoli come colpevoli ancora prima dei processi e delle sentenza (la famosa “giustizia mediatica”).

-Il ruolo fondamentale del Partito Comunista Italiano (salvo rarissime e lodevoli eccezioni) nel coadiuvare e difendere a spada tratta l’inchiesta e il teorema giudiziario anche quando questo cominciava a scricchiolare. Il PCI aveva sempre considerato l’Autonomia come un pericoloso avversario alla sua sinistra soprattutto in una fase di sacrifici e ristrutturazione industriale legati alla politica del “compromesso storico” (1976-1979).

-Il periodo lunghissimo di carcerazione preventiva in attesa di processo (si parla di svariati anni) inflitto agli imputati.

-L’utilizzo a piene mani della collaborazione dei pentiti (con relativi sostanziosi sconti di pena garantiti dalla legislazione premiale dei primi anni ’80) per trasformare in una storia criminale una storia sociale e politica. Utilizzo dei pentiti che poi diventerà una costante della giustizia italiana.

-Il ruolo di supplenza esercitato dalla magistratura nei confronti della politica. Un ruolo che crescerà esponenzialmente per tutti gli anni ’80 per poi esplodere con tutta la sua forza distruttiva durante Tangentopoli.

-Il rimodulare le accuse verso gli imputati con il passare degli anni di carcerazione preventiva via via che i vari pezzi del “Teorema Calogero” crollavano sotto i colpi delle dichiarazioni dei pentiti delle formazioni armate.

A quarant’anni dai fatti, guardando le carte, si viene colpiti dalla sciatteria dell’inchiesta con le sue accuse surreali e dalla pressoché totale mancanza di prove. L’inchiesta iniziale verteva infatti sostanzialmente sulla semplici analisi di scritti politico-filosofici e documenti teorici delle formazioni politiche come Potere Operaio e Autonomia.

Ci sembra giusto citare qualche paragrafo degli atti d’accusa per far comprendere la dimensione kafkiana dell’intera vicenda:

(…) Imputati A) del reato p.p dagli artt. 110, 112 n.1, 306 I e II co. in relazione agli articoli 283 e 284 c.p. per avere, in concorso fra loro e con altre persone, essendo in numero non inferiore a cinque, organizzato e diretto una associazione denominata Brigate Rosse.

(…) dalla sussistenza di elementi probatori che portarono a identificare nel Negri il brigatista rosso che telefonò a casa dell’onorevole Moro durante il sequestro di costui (…).

Insomma… Autonomia sarebbe stata la stessa cosa delle Brigate Rosse. Anzi! Le BR si sarebbero fatte dirigere da Autonomia… Una tesi ridicola e grottesca per qualsiasi persona ne sappia una minima dei movimenti politici e rivoluzionari degli anni ’70.

Le inchieste contro Autonomia si allargarono a macchia d’olio su tutto il territorio italiano con indagini e arresti di massa a Milano come a Roma e  altrove.

Un’ulteriore vittima di questi teoremi che ci sembra giusto ricordare fu Walter Maria Pietro Greco detto “Pedro”, militante dell’Autonomia veneta, coinvolto nelle inchieste dell’epoca e assassinato a Trieste il 9 marzo 1985 mentre era ancora latitante, da una squadra composta da agenti Digos e dei servizi.

I procedimenti giudiziari colpirono un movimento in fase di crisi e riflusso già evidente negli ultimi mesi del ’77, ma di fatto posero una forte ipoteca sulle lotte autorganizzate in Italia per molti anni. Fino a metà degli anni ’80 i pochi militanti rimasti a piede libero dovettero infatti spendere quasi tutte le loro energie nel sostegno delle centinaia di detenuti politici in un clima di dilagante desertificazione sociale. Difficile dire che influsso avrebbe potuto avere un’Autonomia non completamente scompaginata dalla repressione nei processi di lotta alla ristrutturazione e controrivoluzione neo-liberale nell’Italia dei primi anni ’80.

A Milano, la lotta dello Stato contro Autonomia vide il suo apice col processo Rosso-Tobagi coi suoi 152 imputati. Un processo in gran parte costruito sulle dichiarazioni dei pentiti, che nell’autunno ’80 avevano portato ad arresti di massa a Milano. Per chi fosse interessato, le vicende di quel periodo sono narrate da Paolo Pozzi in “Trittico milanese” (oltre che nel suo “Insurrezione” pubblicato da DeriveApprodi).

Per concludere giova ricordare che quella generazione di magistrati è la stessa che si è fatta carico, nei decenni successivi, di combattere le varie insorgenze sociali con nuovi teoremi, primo tra tutti quello contro il movimento NoTav in Val di Susa.

Come a dire: sono passati quarantadue anni da quel 7 aprile 1979, ma i suoi fantasmi continuano ad agitarsi e provocare danni.


Letture consigliate:

Il caso 7 aprile – D. Fiorentino, X. Chiaromonte, Mimesis

Galera ed esilio – storia di un comunista – A. Negri, Ponte delle Grazie

Speciale 7 aprile – Il venticinquennale – Caramilla

I giornali e il processo 7 aprile – Caramilla

Insurrezione – P. Pozzi, DeriveApprodi

Gli autonomi (vol.1-5) – DeriveApprodi

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da MilanoInMovimento