Il 19 aprile, la questura di Perugia ha comunicato a 37 persone, tra cui studenti, ricercatori, professori dell’Università di Perugia, lavoratori e precari, un avviso di conclusione di indagini preliminari. I fatti si riferiscono alla grande manifestazione che si è svolta a Perugia e come del resto in tutte le altre città d’Italia, il 30 Novembre 2010, contro la riforma dell’università, la cosiddetta legge Gelmini, che ha visto inoltre, schierati a favore della protesta, la maggior parte degli atenei italiani.
La manifestazione, all’epoca, ha coinvolto migliaia di persone a livello locale e centinaia di migliaia di persone a livello nazionale. “Lascia senza dubbio qualche perplessità l’azione repressiva portata avanti su fatti di grande partecipazione pubblica – hanno dichiarato i Giovani Comunisti di Perugia in una nota stampa – , in un contesto di generale conflitto e di continuo attacco ai diritti civili e sociali, che nel caso in questione è inteso a creare i presupposti per la privatizzazione del sistema università”.
Ricordiamo che all’epoca dei fatti erano oltre duecento gli studenti e i ricercatori precari che avevano occupato e bloccato per due ore la stazione Fontivegge a Perugia causando anche un blocco di quattro treni regionali.
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37 avvisi: “E’ in gioco lo spazio democratico”
La politica, tutta, è messa a dura prova in questo fine di legislatura tecnica. I partiti passano i loro guai, purtroppo meritatamente, le istituzioni democratiche scricchiolano sotto il peso dell’emergenza e degli sbalzi d’umore dello spread, i movimenti vengono repressi, dissuasi e resi innocui con la forza dell’autorità.
Da noi, in questi giorni è successo che 37 persone, tra studenti, professori dell’università di Perugia, ricercatori, lavoratori e precari, hanno ricevuto un avviso di conclusione di indagini preliminari. L’accusa: aver manifestato in migliaia, a Perugia come in moltissime città d’Italia, contro la pessima riforma Gelmini dell’università, avversata dalla maggioranza degli atenei d’Italia, la bellezza di un anno e mezzo fa. Per alcuni l’addebito si limita alla partecipazione a una manifestazione non autorizzata, per altri si aggiunge la penalmente rilevante interruzione di pubblico servizio.
Diversi i punti ancora oscuri della vicenda. Sono stati necessari 16 mesi e mezzo per arrivare alla conclusione di un’indagine che poco poteva avere di particolarmente misterioso, visto che si trattava di una manifestazione pubblica? Come mai solo 37 delle diverse centinaia di partecipanti hanno ricevuto la comunicazione dell’avvenuta indagine sul loro conto e come mai solo a uno sparuto gruppo di manifestanti è stata mossa l’accusa di interruzione di pubblico servizio quando a bloccare la stazione ferroviaria di Fontivegge erano almeno in duecento?
Al di là dei dettagli giudiziari, la questione si pone in termini decisamente politici. Non è possibile lasciare che le conseguenze del semplice esercizio di un diritto costituzionale esplichino i loro effetti sui destini individuali delle persone chiamate dall’autorità a rispondere dei loro comportamenti. Tutti devono sentirsi chiamati in causa; tutti quelli presenti alla manifestazione, tutti i cittadini che condividono le motivazioni di quella protesta, tutte le istituzioni preposte alla garanzia del libero esercizio del diritto sancito dall’articolo 21 della Costituzione italiana, l’intera comunità nell’interesse della quale quei manifestanti hanno agito.
Com’è emerso dal dibattito sviluppatosi durante l’assemblea di ieri nell’aula magna di Palazzo Manzoni a Perugia, non si tratta di una vicenda da affrontare privatamente, ognuno rispondendo della propria singolare responsabilità; il dissenso rispetto al progetto di distruzione dell’università pubblica è stato espresso collettivamente e altrettanto coralmente va respinto il tentativo di intimidazione messo in atto come dissuasore di future mobilitazioni. Anzi, la replica deve andare oltre, coinvolgere la città, chiamarla a interrogarsi su ciò che è accaduto ed esprimere un proprio punto di vista sull’esercizio di un diritto fondamentale. In quale paese che si dice democratico è tollerabile che chi manifesta il proprio pensiero in totale sintonia con i principi della sua legge fondamentale incorra in severe sanzioni? E quale democrazia può ritenere auspicabile che la critica venga messa a tacere dall’autorità e non dalla forza delle idee?
In gioco ci sono l’agibilità politica e lo spazio democratico futuri. Le forze politiche, le istituzioni, le rappresentanze sociali, la città come pensano di continuare a garantirli?
Patrizia Proietti –Segreteria Regionale PRC-FdS
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Le Brigate di Solidarietà Attiva esprimono la più profonda solidarietà e vicinanza umana alle 37 ragazze e ragazzi denunciati dalla Questura di Perugia per l’occupazione della stazione ferroviaria il 30 novembre del 2010, in occasione della giornata nazionale di mobilitazione contro la disastrosa riforma Gelmini.
Le denunce di Perugia si sommano ad un’ondata repressiva che da Padova a Firenze, da Teramo a Roma tenta di mettere in discussione in tutta Italia il diritto a manifestare.
In una città tristemente nota alle cronache nazionali per le vicende legate al narcotraffico, chi dovrebbe occuparsi di sicurezza ritiene più utile perseguire chi lotta per il diritto universale allo studio e all’istruzione pubblica e gratuita; per questo la nostra vicinanza alle compagne e ai compagni sta anche sul terreno della condivisione di una lotta comune, soprattutto oggi che la crisi avanza e miete vittime tra gli studenti, i precari, i pensionati. Facciamo nostro oggi lo slogan che accompagnava quelle imponenti mobilitazioni, ancora più di ieri, “noi la crisi non la paghiamo!”
PIU’ STRINGERETE LE CATENE, PIU’ CI AGITEREMO!
NO ALLA REPRESSIONE! LA LOTTA NON SI ARRESTA!