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Obama riempie le casse della repressione egiziana

Consegnati oggi al Cairo i primi otto jet F-16, parte di un pacchetto di aiuti militari statunitensi da 1,3 miliardi di dollari, ripristinati quest’anno dopo lo stop nel 2013 a seguito del golpe contro Morsi. Continuano gli arresti e le condanne a morte, ma delle riforme politiche richieste dall’amministrazione americana neanche l’ombra

Si è rimessa i moto la macchina degli aiuti militari statunitensi all’Egitto. Secondo quanto dichiarato dall’ambasciata Usa al Cairo, oggi è stata consegnata all’alleato nordafricano la prima consistente tranche del pacchetto annuale di fondi e attrezzature militari sbloccato lo scorso marzo, dopo la sospensione voluta dal presidente Usa Barack Obama in seguito al golpe dell’esercito egiziano contro Mohamed Morsi, terminato con la sua condanna a morte nel giugno scorso.

Si tratta di otto jet F-16, cui se ne aggiungeranno altri quattro in autunno, oltre a 20 missili Boeing Harpoon e 125 kit Abrams M1A1 per carri armati prodotti dalla General Dynamics. Un pacchetto da 1,3 miliardi di dollari l’anno, generoso regalo fatto al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi per la lotta all’Isis e alle minacce jihadiste provenienti dai confini ovest e dalla penisola del Sinai, che riporta l’Egitto – stando alle parole del portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale Bernadette Meehan – al secondo posto tra i più grandi destinatari del finanziamento militare Usa all’estero dopo Israele.

Il super finanziamento, che Washington accordava al suo alleato nordafricano da decenni, era stato interrotto nel 2013 a causa del golpe perpetrato dalla giunta militare del Cairo – mai veramente messa da parte dalla deposizione di Hosni Mubarak durante la cosiddetta primavera egiziana del 2011 – ai danni di Mohamed Morsi, l’unico presidente eletto democraticamente nella storia della repubblica egiziana. Negli scontri tra i sostenitori dei Fratelli Musulmani e la polizia che avvennero subito dopo rimasero uccisi oltre un migliaio di dimostranti, una vicenda che aveva raffreddato le relazioni tra i due paesi e spinto un imbarazzato Obama a sospendere gli aiuti militari.

Il ripristino dei finanziamenti, secondo quanto dichiarato dall’amministrazione americana, doveva essere legato a una serie di riforme, mai realizzate dal nuovo regime egiziano: Obama, che a marzo aveva lasciato intendere che il colpo di stato contro Morsi non sarebbe passato in sordina, annunciando che gli Stati Uniti avrebbero “parlato francamente e direttamente” della “traiettoria politica egiziana”, non si è però ancora espresso chiaramente sulla deriva repressiva che il Cairo ha già preso da molto tempo.

A pagare per la restaurazione del regime egiziano non sono solo i membri della Fratellanza, che pure sono i più colpiti dalle nuove leggi anti-terrorismo promulgate dalla giunta a partire dall’autunno del 2013, quando il movimento è stato messo fuorilegge, con migliaia di arresti e una lista di condanne a morte che ha pochi eguali nel mondo arabo. Anche decine di attivisti laici sono morti nelle manifestazioni annuali per il ricordo della rivoluzione del 2011, mentre i giornalisti sono sempre più nel mirino delle autorità con nuove leggi ad-hoc studiate per arricchire il pacchetto anti-terrorismo. Secondo Ong e attivisti, dall’inizio dell’anno sono finiti nel braccio della morte 194 egiziani, mentre l’anno scorso le sentenze capitali sono state 509. Inoltre, 20mila persone sono in cella in attesa di giudizio.

Ieri l’ultima saga della repressione egiziana: secondo quanto riportato dall’emittente Press TV, oltre cinquanta persone sarebbero state arrestate durante le manifestazioni tenutesi in varie città del paese organizzate dall’Alleanza anti-Golpe, guidata dai Fratelli Musulmani. Durante i cortei erano stati scanditi slogan contro il “governo sostenuto dai militari”.

da Nena News