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Si riapre il caso di Niki Aprile Gatti “suicidato” dai colossi informatici??

Morto impiccato l’11 giugno 2008 ad una cinghia nel carcere di Sollicciano, aveva 26 anni. Uno dei più incredibili buchi neri della giustizia italiana, quello di Niki Aprile Gatti, una passione per l’informatica che gli è costata la vita. Un caso presto archiviato – prassi molto consueta – come “suicidio” dalla procura di Firenze. Ora potrebbe finalmente riaprirsi per far luce sulla verità di una morte che faceva comodo a parecchi pezzi da novanta. Il parlamentare 5 Stelle Alessandro Di Battista, per la quarta volta, presenta un’interrogazione parlamentare affinchè sia fatta una buona volta chiarezza. La famiglia non ha mai smesso di cercare la verità e ora è decisa ad andare fino in fondo, con la madre Ornella a invocare giustizia. E ancora: solo adesso si “scopre” che la procura di Firenze – che ha subito messo una pietra tombale sul caso – non aveva competenza sulla vicenda, che spettava alla procura di Arezzo.

Ma ricostruiamo quel tragico episodio, che s’inquadra nella scia di sangue che accompagna tante storie “informatiche”, a partire dal “suicidio” del responsabile security Telecom Adamo Bove, nel 2007, e continua con quella di un suo collega, una paio d’anni fa, Emanuele Insinna. Altri buchi neri, altre storie che gridano vendetta.

La storia ha come epicentro San Marino, sede della società di informatica Oscorp, dove lavorava il giovane Niki. I misteri – e forse la chiave del giallo – corrono lungo l’asse tra il piccolo stato ai piedi del Titano e Londra, e in particolare seguendo la traiettoria degli affari illeciti messi in piedi da alcuni giganti della telefonia, come Telecom e Fastweb. Un asse che ritroviamo nell’inchiesta “Premium”, portata avanti – a quanto pare – sia dalla procura di Roma che da quella di Firenze. Un giro di danaro sporco e riciclaggio internazionale da 2 miliardi 400 milioni di iva evasa. Nel mirino degli inquirenti Telecom Italia Sparkle spa e Fastweb spa, accusate di associazione per delinquere transnazionale aggravata.

I pm fiorentini Canessa e Monferini indagano su alcune società, come Oscorp spa, Orange, OT&T, TMS, tutte localizzate a San Marino, sull’aretina Fly Net e su altre sigle londinesi. Oltre a Niki, un semplice operatore informatico, coinvolti alcuni pezzi grossi, come Piero Mancini, presidente dell’Arezzo Calcio, titolare di Fly Net, costruttore e interessato ad alcuni grossi business, come l’appalto per la ristrutturazione dell’aeroporto Marconi di Bologna; e Carlo Contini, in affari con il gruppo perugino di Salvatore Menzo, a sua volta in rapporti con personaggi border line. L’accusa, per tutti, era di frode informatica. Ma ecco un altro fatto incredibile: tutti gli arrestati vengono trasferiti nel carcere di Rimini (per passare, in poco tempo, ai domiciliari), mentre il solo Niki viene portato nel super carcere di Sollicciano, uno dei più duri d’Italia.

E qui, pochi giorni dopo (aveva cominciato a collaborare con gli inquirenti, senza nemmeno l’assistenza, come per legge, di un avvocato di fiducia), verrà trovato impiccato ad una corda ricavata da strisce di jeans e lacci di scarpe nel bagno della cella 10 della quarta sezione. Trenta giorni dopo, l’appartamento di Niki viene svaligiato: la procura di San Marino archivia la denuncia di furto, ma del suo computer non si hanno più tracce, sparito. Così puntava l’indice, nel 2010, il senatore Elio Lannutti in un’interrogazione parlamentare. “Le testimonianze di due compagni di cella non collimano e non trova risposta il dubbio che lacci di scarpe e strisce di tessuto jeans possano sorreggere il peso di un uomo di 92 chilogrammi, così come non la trova la presenza di lacci di scarpe in un carcere di massima sicurezza”.

Denuncia il sito Agora Vox: “Dietro la sua morte ci sono quei poteri trasversali che l’inchiesta non ha voluto far emergere. Eppure si intravedono, senza ombra di dubbio, grosse compagnie telefoniche, società off shore, ‘ndrangheta, personaggi ambigui e comunque potenti legati alla massoneria non ufficiale, medici e avvocati famosi coinvolti addirittura nei processi per le stragi di stato”. E ancora. “Nell’inchiesta Premium non viene indagata la Telecom, la quale invece un ruolo lo aveva avuto. Hanno messo in trappola Niki e poi è stato definitivamente archiviato tutto. Tra l’altro la madre Ornella non ha nemmeno il diritto di sapere come sia andata a finire l’inchiesta Premium e su di essa è calato il silenzio più assoluto”.

Può darsi che adesso, finalmente, quella fitta nebbia di omissioni, complicità e omertà, con la riapertura – si spera – del caso possa cominciare a diradarsi. E i colpevoli (esecutori e soprattutto mandanti) di quell’omicidio trovino finalmente un nome.

Andrea Cinquegrani da La Voce delle voci