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Processo Bianzino: una pietra tombale sulla verità e la giustizia

“Temo che possa essere una pietra tombale su una sete di verità che giustamente hanno i famigliari di Bianzino e che potrebbe rimanere inevasa”.
Lo dice Fabio Anselmo, uno degli avvocati della famiglia Bianzino all’indomani della sentenza con cui il poliziotto penitenziario Gianluca Cantoro è stato condannato a un anno e mezzo di reclusione per omissione di soccorso: non soccorse Aldo Bianzino nella cella del carcere perugino di Capanne il 14 ottobre del 2007, e il falegname finì per morire per una emorragia cerebrale.

“Non possiamo criticare la sentenza – ha detto ancora il legale – Abbiamo criticato il pubblico ministero che ha trattato il tema medico legale sulle cause della morte e sulla possibilità di poter salvare Aldo o meno in lungo e in largo e, di fronte a una evidente maggiore autorevolezza di Fineschi (il consulente della parte civile, ndr) riconosciuta anche dai consulenti del pubblico ministero, lo stesso non ha ritenuto di contestare l’aggravante dell’ultimo comma dell’articolo 593, cioè quella secondo cui se l’omissione di soccorso provoca la morte la pena è raddoppiata. “Per noi la sentenza sul capo d’imputazione è ineccepibile, poi è ovvio che speravamo il tribunale restituisse gli atti al pubblico ministero per contestare l’aggravante”.

“Non si può comunque criticare una sentenza in un caso cosi difficile – ha aggiunto l’avvocato -, da un pubblico ministero che vede questo tipo di ordinanza ci si aspetta che contesti l’aggravante che abbiamo chiesto. Questa è una responsabilità certamente non del tribunale”. L’avvocato Fabio Anselmo, già legale della famiglia Aldrovandi e della famiglia Cucchi ha rappresentato i familiari di Bianzino come parte civile insieme ai colleghi Massimo Zaganelli e Cinzia Corbelli.

A caldo, dopo la lettura della sentenza, è stato proprio Massimo Zaganelli, il legale di Città di Castello che ha seguito la vicenda fin dalle primissime battute a sostenere che adesso è il momento in cui si potrebbe chiedere di riaprire l’indagine per omicidio volontario che il pubblico ministero Giuseppe Petrazzini aveva archiviato. Per i familiari di Aldo infatti, in dibattimento sono emersi degli elementi medico legali che potrebbero spingere un giudice a disporre ulteriori accertamenti sulla morte di Aldo Bianzino.

Per il professor Vittorio Fineschi infatti, il consulente della parte civile, fermo restando la presenza dell’emorragia subaracnoidea che ha provocato la morte di Bianzino e la presenza della lesione al fegato, propone una lettura diversa da quella dell’insorgenza spontanea data dai periti del pm. Per Fineschi l’emorragia, che inizialmente fu di modesta entità perché non avrebbe inondato di sangue le parti più profonde del cervello, potrebbe anche essere stata provocata da un trauma: una torsione della testa, uno scuotimento, qualcosa che abbia causato una lacerazione e un’uscita di sangue.

Per il medico questa affermazione è possibile vista l’assenza del rinvenimento dell’aneurisma stesso. Quanto alla lesione al fegato ha sostenuto, studi alla mano, che la stessa risulta classificata come molto rara nelle manovre rianimatorie. E generalmente correlata anche da altri traumi classificati come meno rari. Per Fineschi insomma la lesione al fegato, su un soggetto morto, con un versamento di sangue come quello di Bianzino solleva più di una perplessità. E anche per la famiglia che chiede ancora spiegazioni.

Per il pubblico ministero Giuseppe Petrazzini invece il caso non necessita di alcun ulteriore approfondimento. E lo ha detto in requisitoria, ricostruendo tutta la vicenda. “Questo processo ha preso le mosse da una vicenda quanto mai travagliata”, aveva detto in apertura di requisitoria. Ha ricostruito passo per passo tutto la vicenda passando anche per l’indagine di omicidio volontario, poi archiviata.

Indagine aperta, ha spiegato lo stesso pm, in seguito alla prima autopsia in cui si ipotizzò che Aldo potesse essere stato scosso e percosso. Il magistrato ha però spiegato che quell’indagine è stata archiviata per più motivi, per le risultanze della seconda autopsia fatta anche dalla dottoressa Anna Aprile in cui si stabilì come Bianzino fosse morto per una emorragia cerebrale. In più, il pm ha spiegato che le chiavi della cella di Aldo erano custodite in un armadio in cui neanche Cantoro poteva prenderle.

“Più le indagini proseguivano – ha detto il pm, più l’ipotesi che Bianzino potesse essere stato aggredito da qualcuno diminuivano”. Per la pubblica accusa Aldo Bianzino non è stato aggredito da nessuno. Ma la famiglia non ci crede. E pensa invece che ci siano molte incongruenze e molte cose che ancora non tornano nella ricostruzione dell’ultima notte di vita del falegname di Pietralunga che era stato arrestato due giorni prima per delle piante di marijuana che gli erano state trovate nel terreno di sua proprietà.
fonte: Adnkronos