No a strumentali evocazioni di venti securitari a sostegno di battaglie di retroguardia
L’Unione delle Camere Penali Italiane e il suo Osservatorio Carcere replicano all’allarme lanciato dal sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria dopo i tragici eventi di Parigi.
Nel dibattito seguito ai tragici fatti di Parigi si è registrato un intervento del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (SAPPE) che ha lanciato l’allarme fondamentalismo islamico nelle carceri, sottolineando il rischio che la numerosa componente extracomunitaria della popolazione detenuta possa essere facile preda dell’attività di proselitismo del terrorismo di matrice fondamentalista, per invocare una svolta restrittiva nelle modalità di esecuzione della pena.
Si chiede esplicitamente la sospensione del sistema della vigilanza dinamica e del regime penitenziario aperto, che consentirebbero la promiscuità fra i detenuti senza controllo della Polizia Penitenziaria, per evitare che fanatici estremisti, in particolare ex combattenti, possano indottrinare i criminali comuni, specialmente di origine nordafricana, per reclutarli alla causa del terrorismo internazionale.
Non è una novità l’ostilità da parte di alcuni settori della Polizia Penitenziaria rispetto alla sorveglianza dinamica, una modalità di gestione della sicurezza negli Istituti di detenzione basata sulla mobilità dei reclusi e degli operatori penitenziari e sulla reciproca interazione fra gli stessi, piuttosto che sulla segregazione dei primi in spazi circoscritti (le celle in primis), oggetto di mera vigilanza perimetrale. Essa infatti richiede sforzi organizzativi maggiori e maggiori attitudini professionali della mera attività di custodia, come testimoniano le numerose circolari con le quali l’Amministrazione si è prodigata, particolarmente negli ultimi due/tre anni, ad impartire disposizioni e direttive affinché fosse attuata correttamente, su impulso anche dei noti richiami internazionali al miglioramento delle condizioni di detenzione, ma soprattutto in attuazione di imperativi che risalgono all’ormai datata riforma dell’Ordinamento Penitenziario, che risale al 1975, e del Corpo degli Agenti di Custodia, sostituito dalla Polizia Penitenziaria, che risale al 1990.
é tuttavia ormai diffusa la convinzione che, a dispetto delle ricorrenti resistenze di alcune componenti dei sindacati del settore, il cambio di prospettiva richiesto agli operatori, oltre ad essere essenziale per il trattamento e per garantire condizioni di detenzione conformi ai richiesti parametri di civiltà, risponde anche ad un’esigenza di qualità della gestione della sicurezza, poiché mira ad una conoscenza individuale dei detenuti, attuabile solo attraverso l’interazione e non nell’isolamento.
É fin troppo agevole domandarsi dove potrebbero verificarsi le temute attività di proselitismo ed indottrinamento ad opera dei fondamentalisti, se non nell’isolamento forzato all’interno delle celle piuttosto che nelle attività di comunità gestite dagli operatori del trattamento.
Invocare una stretta sui detenuti di origine extracomunitaria per evitare il contagio, dunque, non ha alcun senso, se non quello di rispondere ad un pregiudizio di matrice etnica.
Non resta che augurarsi (ma ne siamo certi) che il Ministro della Giustizia, che viene direttamente chiamato in causa, non stenti a riconoscere nella sollecitazione rivoltagli una strumentale evocazione dei venti securitari che le tragedie di questi giorni sollevano nell’opinione pubblica a sostegno di una battaglia di retroguardia.
La Giunta
L’Osservatorio Carcere UCPI