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Roma, 22 novembre 1975: Piero Bruno, militante di Lotta Continua, ucciso dai carabinieri

pietro bruno

Si svolge  una grande manifestazione per chiedere il riconoscimento da parte dell’Italia della Repubblica Popolare dell’Angola, appena liberatasi dal colonialismo portoghese.

Mentre il corteo si snoda per via Labicana, una decina di manifestanti si stacca, all’altezza dell’Ambasciata dello Zaire, con l’intenzione di compiere un’azione dimostrativa contro un regime attivo nell’aggressione imperialista in Angola.

Appena affacciatosi in largo Mecenate, il gruppo ha chiaro sentore di una trappola. Dopo aver lanciato alcune molotov per coprirsi la fuga, i giovani iniziano a correre. Contro di loro poliziotti e carabinieri scatenano un vero e proprio tiro al bersaglio.

Piero Bruno, 18 anni, studente dell’itis Armellini e militante di Lotta continua, crolla sull’asfalto, raggiunto alla schiena da un proiettile esploso dal carabiniere Pietro Colantuono. Altri due giovani sono colpiti di striscio alla testa ma non si fermano. Verso il ferito, che giace a terra agonizzante, e un suo compagno che prova a tirarlo via, un poliziotto in borghese, poi identificato nella guardia di ps Romano Tammaro, spara di nuovo a breve distanza. Piero viene colpito alla gamba destra, mentre il soccorritore è raggiunto a un braccio. Quindi l’agente si avvicina a Piero, lo strattona, lo insulta, gli punta una pistola alla tempia e preme il grilletto dell’arma ormai scarica. Per simulare un’inesistente situazione di pericolo, le forze di polizia trascinano il ferito verso l’ambasciata. Piero morirà il pomeriggio successivo, piantonato in ospedale.

Mentre tutta l’Italia è attraversata da una forte mobilitazione contro il regime democristiano, il governo Moro e la Legge Reale, appena entrata in vigore, le indagini prendono avvio fra dichiarazioni contraddittorie, ritardato o mancato sequestro di armi e gravi manomissioni di prove. Nessuno dei membri delle forze dell’ordine presenti, agli ordini del vicequestore Ignazio Lo Coco, fu arrestato. Oltre a Colantuono e Tammaro, ad aprire il fuoco fu certamente anche il sottotenente dei cc Saverio Bossio.

Nel dicembre 1976 il giudice istruttore Lacanna, sulla base delle argomentazioni del sostituto procuratore Vecchione, emise la sentenza di archiviazione. Nell’ordinanza di proscioglimento scriverà: «Se per la difesa dei superiori interessi dello Stato, congiuntamente alla difesa personale, si è costretti ad una reazione proporzionata alla offesa, si può compiangere la sorte di un cittadino la cui vita è stata stroncata nel fiore degli anni ma non si possono ignorare fondamentali principi di diritto. La colpa della perdita di una vita umana è da ascrivere alla irresponsabilità di chi, insofferente della civile vita democratica, semina odio tra i cittadini».

Nel settembre 1977 Fabio Agostini, uno dei tre feriti curati fuori da strutture pubbliche per evitare l’arresto, si è tolto la vita.

Scheda di Paola Staccioli tratta dal libro In ordine pubblico.

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