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Kurdistan: si scrive coprifuoco, si legge pulizia etnica

Il Kurdistan turco è sottoposto ormai da mesi ad un feroce attacco da parte dello Stato turco. Carri armati per le strade, città assediate, quartieri bombardati e una scia di sangue che non smette di scorrere. Attraverso le dichiarazioni di coprifuoco, Erdogan sta compiendo una nuova pulizia etnica. 200.000 persone hanno dovuto abbandonare le proprie case.

“Le montagne erano piene di morti, le valli erano scosse dalle urla delle persone, i fiumi scorrevano tinti di rosso del sangue”

Gonul Tepe, giornalista e politica Curda, sul genocidio di Dersim nel 1937

I numeri rilasciati in un dossier realizzato nei giorni scorso da TIHV (Human Rights Foundation of Turkey) rendono perfettamente quanto di enormemente grave sta accadendo negli ultimi mesi nella regione del sud-est della Turchia (Kurdistan Bakur): oltre 50 dichiarazioni di coprifuoco a partire dal 16 di Agosto ad oggi, 17 città colpite, 7 distretti coinvolti, oltre 160 morti civili, di fatto 1 milione 300.000 persone costrette a vivere sotto assedio, la costante minaccia di essere uccisi, i diritti umani continuamente calpestati.

Durante questi mesi abbiamo già raccontato degli effetti devastanti del coprifuoco, dei civili uccisi, dei massacri, dell’attacco militare contro la popolazione e della repressione contro attivisti, militanti, membri dei partiti di opposizione e giornalisti.

Le ultime settimane si sono però contraddistinte per un preoccupante innalzamento del livello di violenza e di attacco. Il governo di Ankara ha ormai gettato ogni maschera portando avanti una guerra interna contro la popolazione Curda del sud-est del paese, quella che vota HDP, che dichiara l’autogoverno nelle città, quella che non si è lasciata spaventare dalla strategia del terrore adottata da Erdogan nel lasso di tempo tra le elezioni del 7 Giugno e quelle poi “vinte” il 1° Novembre. Il Primo Ministro Davutoglu ha dichiarato alla stampa che “le forze di sicurezza hanno licenza di colpire e uccidere chiunque, inclusi donne e bambini”.

Le ultime 72 ore: Silopi, Cizre, Nusaybin, Amed

Nella notte tra il 15 ed il 16 Dicembre, Twitter sembrava essere impazzito rilanciando le centinaia di messaggi, notizie ed appelli provenienti da due città in particolare: Cizre e Silopi.

Un’operazione militare su vasta scala “contro il PKK” è stata lanciata in diversi distretti, ed in particolare contro quello di Sirnak. Secondo le dichiarazioni dello stesso governo di Ankara, 10.000 membri di polizia, squadre speciali ed esercito sono impegnati sul campo.

Nei giorni scorsi un nuovo coprifuoco era nell’aria: decine di mezzi militari, blindati, truppe e carri armati erano arrivati in città, le scuole e gli ufficiali statali erano stati chiusi , i cittadini turchi “evacuati” e gli insegnanti “invitati” a lasciare la città. Infine, la dichiarazione di coprifuoco è arrivata: a partire dalle 23:00 del 14 dicembre.

Un attacco simultaneo ha colpito entrambe le città, la corrente elettrica è stata staccata ovunque, i cellulari e la rete internet funzionavano a singhiozzo, mentre decine di carri armati sono stati schierati nelle strade iniziando un intenso bombardamento durato almeno 2 ore, in particolare contro i quartieri Başak e Yenişehir a Silopi, Cudi, Yafes e Nur a Cizre.

Case, attività commerciali, uffici ed anche moschee sono andate quasi completamente distrutte

Nella mattinata di ieri centinaia di militari accompagnati da diversi carri armati, hanno iniziato un’operazione di terra compiendo diversi raid in decine di case private. A Silopi membri delle forze speciali antiterrorismo hanno fatto irruzione, armi in pugno, nella casa del parlamentare HDP Ferhat Encü “Hanno sfondato la porta, ci hanno puntato le pistole e minacciato di morte. Volevano arrestarci ed entrare in casa senza neppur avere un mandato “ – ha dichiarato all’agenzia ANF – “I carri armati continuano a bersagliare le abitazioni. Decine di case sono danneggiate e molte altre sono in fiamme. Ci sono migliaia di persone in questi quartieri e tutti sono sotto l’attacco costante delle forze dello Stato. Quella che viene compiuta contro il nostro popolo è una pulizia etnica, ciò che viene fatto qui è un massacro. Lo Stato turco sta facendo la guerra contro i civili” .

Negli ultimi 3 giorni sono almeno sei i civili uccisi durante le operazioni di guerra dello Stato turco.

A Silopi (115.00 abitanti) questa mattina, Hüseyin Güzel, un uomo di 70 anni, è morto per un attacco di cuore, dopo che una granata è stata lanciata dalla polizia contro la sua abitazione. Nessuno ha potuto soccorrerlo né recuperare il corpo, a causa del continuo fuoco di artiglieria.

Cizre (130.000 abitanti), dopo il massacro subito nel coprifuoco tra il 4 e il 12 settembre (28 morti), continua a subire attacchi indiscriminati. A partire dal 15 dicembre almeno 3 persone sono state uccise: Ferhat Tanış di soli 11 anni, colpito da una pallottola in testa durante le prime ore di coprifuoco; Hediye Şen (30 anni) madre di due bambini uccisa da 3 proiettili sparati dalle forze speciali; una terza vittima che rimane ancora non identificata, dopo che ieri diverse agenzie di stampa locali avevano parlato dell’uccisione di Salih Edim (11 anni), poi rivelatosi essere vivo.

Ancora coprifuoco e morti anche a Nusaybin (110.000 abitanti), nel distretto di Mardin, tra le città più colpite e sottoposta ad un attacco continuo. Qui nell’ultimo mese e mezzo 16 persone sono state uccise brutalmente: si va dal più giovane, Hakan Dogan di 15 anni, al più anziano, Abdulkadir Yilmaz di 65 anni. Nella tarda serata di ieri la polizia ha aperto il fuoco contro un gruppo di persone. Un ragazzo di 22 anni, Hüseyin Ahmet, è stato colpito a morte dagli spari della polizia, mentre un bambino di 12 anni, İbrahim Bulca, è stato ferito ad una gamba.

Hüseyin è stato ucciso mentre tornava a casa dopo una giornata di lavoro. Lui era un rifugiato curdo-siriano, scappato dalla guerra in Siria con la propria famiglia per trovare la morte per mano delle forze di polizia di Erdogan, in quello che l’Unione Europea considera un paese di approdo sicuro per chi scappa da guerre e persecuzioni. Per nulla migliore è la situazione nella città più grande del sud-est. A Diyarbakir (Amed in Curdo, 1 milione e mezzo di abitanti) la città vecchia di Sur è entrata quest’oggi nel suo 15° giorno di coprifuoco.

A partire dal 28 Novembre, giorno dell’omicidio di Tahir Elci, non si sono mai fermate le manifestazioni di protesta per chiedere l’immediata fine del coprifuoco e dell’aggressione che fa somigliare il quartiere di Sur alle strade di Kobane. La situazione è disastrosa con gli attacchi che continuano ininterrotti mentre continuano a peggiorare le condizioni di vita della popolazione. Manca il cibo e l’acqua, difficilmente le persone riescono ad accedere a cure sanitarie.

Il 14 dicembre la città è insorta chiedendo la fine del coprifuoco. Durissimi scontri si sono protratti per tutta la giornata e due giovani di 21 anni, Şerdıl Cengiz e Şiyar Salman, sono stati uccisi quando alcune Ford Ranger (mezzi utilizzati dagli “squadroni della morte” – membri in borghese delle squadre antiterrorismo) hanno aperto il fuoco sui manifestanti.

La resistenza

Le foto dei carri armati per le strade buie di Silopi e i video degli abitanti che protestano intonando cori e battendo pentole sono l’istantanea perfetta per inquadrare il livello militare delle forze in campo. Da un parte, carri armati, droni, artiglieria pesante, missili e forze speciali. Dall’altra, pentole, balli, canti di lotta e corpi da opporre alla violenza dello Stato.

La gente di Cizre e Silopi, in particolare sin dall’ultima dichiarazione di coprifuoco, ha occupato le strade dei quartieri, riunendosi intorno al fuoco, cantando e ballando contro l’occupazione militare.

Le unità di autodifesa, dopo gli ultimi eventi, ricoprono un ruolo sempre più fondamentale. Durante le ultime notti sono riuscite a impedire alle truppe turche di entrare dentro i quartieri e fare una carneficina. Difendersi da un attacco indiscriminato, violento e razzista, è un diritto che tutti devono avere la possibilità di praticare. Si sono intensificate le azioni portate avanti sia dalle formazioni HPG (PKK) che dalle formazioni “urbane” dello YDG-H. Nel pomeriggio di martedì un convoglio militare è stato attaccato nelle vicinanze di Silvan (distretto di Diyrbakir) sei membri delle forze speciali sono stati uccisi tra cui Ahmet Kabukçu, direttore delle squadre speciali. Le YJA-Star (formazione femminile del PKK) hanno annunciato di aver compiuto un’azione di sabotaggio contro un veicolo militare uccidendo sei soldati nei dintorni di Nusaybin, mentre quattro membri della polizia sono stati colpiti vicino a Bismil.

Ieri sera una forte esplosione ha scosso il quartiere Baglar a Diyarbakir: alcuni razzi hanno colpito una delle stazioni di polizia più importanti e meglio controllate. Al momento non ci sono notizie di morti o feriti.

Turchia paese sicuro? 200.000 persone costrette a lasciare le città a causa del coprifuoco

Gli accordi in materia di immigrazione e profughi che l’Unione Europea ha recentemente stretto con la Turchia , trasformeranno quest’ultima in un’immensa zona di permanenza temporanea, ostacolando il viaggio di chi, in fuga dalla guerra, vuole raggiungere l’Europa. Allo stesso tempo, questo Stato diventerà il luogo in cui deportare chi è riuscito a entrare nello spazio Schengen ma non ha ottenuto la protezione internazionale perché considerato “migrante economico”.

La Turchia, di fatto, verrà considerata un “paese sicuro”, in cui “i profughi possono essere accolti e i diritti vengono rispettati”. Il ruolo che l’Unione Europa ha deciso di concedere ad Erdogan, quello di “cane da guardia” delle frontiere esterne della fortezza Europa, concede alla Turchia spazi di impunità enormi nelle questioni interne, oltre a rafforzarne l’importanza geopolitica nell’area. Questo è evidente dal silenzio assordante e complice di tutti i paesi Europei (e non solo), Italia compresa. Nessuno parla o si interessa a quella che è una vera e propria guerra interna lanciata da Erdogan contro i curdi. Questo tipo di conflitto – oltre a violare palesemente i diritti umani, ad uccidere civili e massacrare donne, uomini e bambini – produce a sua volta flussi migratori, in modo simile (sebbene con un’intensità diversa) a quanto è avvenuto in Siria negli ultimi anni.

Si sa: la guerra produce morte e devastazione. E con queste la fuga di enormi masse di persone. L’attacco che oggi la Turchia porta avanti nel Kurdistan Bakur attraverso il coprifuoco sta aprendo un nuovo fronte, quello interno, che vede decine di migliaia di persone costrette a lasciare le proprie città ed abitazioni ormai distrutte. La co-presidente di HDP Figen Yüksekdağ ha recentemente dichiarato che più di 200.000 persone sono state costrette alla fuga a causa dell’attacco militare in atto. Solo durante il coprifuoco che ha colpito Cizre a Settembre, circa 20.000 persone avevano abbandonato la città, le stesse cifre che si sono registrare nel quartiere di Sur a Diyarbakir dove in molti sono stati costretti a lasciare la propria casa.

Inoltre, quasi tutte le città sottoposte a coprifuoco si trovano lungo il confine turco-siriano o iracheno. In molte di esse hanno trovato rifugio cittadini siriani in fuga da ISIS. Queste persone all’arrivo in Turchia si sono trovate nuovamente in una condizione di guerra, trovandosi a vivere ancora le macabre esperienza giù vissute in Siria. Come, ad esempio, è avvenuto a Cizre, dove le forze speciali hanno attaccato i quartieri al grido di “Allahu Akbar”.

Il ruolo che Erdogan e la Turchia stanno giocando in questa fase è chiarissimo: da un lato stringono accordi con l’Europa per 3 miliardi di euro; dall’altro producono profughi a causa della guerra interna contro i curdi, mantenendo inoltre blindato il confine con il Rojava (di fatto sotto embargo da parte della Turchia) per impedire la ripresa della vita normale, la ricostruzione delle zone liberate da Daesh e, conseguentemente, il ritorno dei profughi.

Nei giorni scorsi organizzazioni curde, partiti e movimenti hanno lanciato un appello urgente per una mobilitazione internazionale che faccia pressione sui governi occidentali e chieda la fine immediata delle politiche di genocidio contro i curdi in Turchia.

Vogliamo davvero chiudere gli occhi, girarci dall’altra parte e far finta che nulla di tremendamente grave stia avvenendo in Turchia? Nonostante l’informazione main-stream italiana ed internazionale continui a giocare un non-ruolo sui massacri compiuti dall’esercito nel Bakur, nessuno può far finta di non sapere. Tanto basta per decidere da che parte stare. Tanto basta per decidere se agire o continuare a guardare indifferenti.

Luigi d’Alife da DinamoPress