Nuove stragi di migranti in Turchia. Report dai campi profughi
I telegiornali hanno dato la notizia, condita di contrite frasi di circostanza, della morte per congelamento di un bambino di quattro mesi, Faris Khidr Ali, in un campo profughi di Batman, nel Kurdistan settentrionale (Turchia). Mentre i quotidiani hanno presentato la sua famiglia come siriana, alcune emittenti televisive (ad es. La7) hanno sostenuto provenissero dalla città di Cizre, ma hanno – come sempre – evitato di approfondire la circostanza. In realtà fonti da Cizre ci hanno spiegato che si trattava del secondogenito di una famiglia siriana che aveva di recente attraversato la frontiera nei pressi della città, che si trova al confine tra Siria e Turchia ma, a causa dei bombardamenti turchi che colpiscono il centro abitato (giustificati con la dichiarazione di autogoverno di alcuni quartieri), ha dovuto riparare nella vicina provincia di Batman, dove a causa del freddo e di una sistemazione improvvisata ha trovato la morte.
Nella serata di ieri, il bilancio del coprifuoco che colpisce la città di Cizre dal 16 dicembre era di trentuno morti, oltre che di centinaia di feriti e di decine di case distrutte. La vicina Silopi, al confine con l’Iraq, ha subito venti morti nello stesso lasso di tempo. L’itinerario dei migranti siriani e iracheni è dunque sovente contraddistinto da nuovi pericoli, nuove violenze e il rischio di non riuscire a trovare immediatamente una sistemazione adeguata. Il coprifuoco produce anche molte famiglie sfollate, in molti casi a causa della distruzione delle loro abitazioni, e non permette ai migranti provenienti da Iraq e Siria di sostare nell’area.
Se nel caso delle guerre “note” legate ai Taleban, ad Al-Qaeda, allo stato islamico in Siria e Iraq è essenziale per i media spiegare (sia pur disinformando attraverso pura propaganda) che di guerre si tratta, nel caso dell’alleato turco è necessario, da parte dei nostri media, sorvolare, visto che proprio la quantità esplosiva di migranti ormai stanziata in Turchia (oltre due milioni) è considerata una spada di Damocle dai paesi europei, tenuto conto che molti di questi rifugiati è in nord Europa che vogliono arrivare, e l’accordo con il premier Davutoglu a Bruxelles, soltanto un mese fa, prevedeva che maggiori controlli sulle coste turche corrispondessero a una non-interferenza europea nella guerra di Ankara contro la popolazione curda (ciò che sta puntualmente avvenendo, benché i flussi e i naufragi nel mar di Marmara siano all’ordine del giorno: soltanto nella giornata di ieri ci sono stati 26 morti).
La Turchia, inoltre, è avamposto della Nato in Asia occidentale e, per questo, un alleato strategico tanto per l’Europa che per gli Stati Uniti. Così, mentre Danimarca e Svezia ripristinano i controlli al confine con la Germania e quest’ultima protesta, minacciando la fine dell’era Schengen (non certo la fine della fortezza per chi viene da fuori, ma della “libera” circolazione per chi è all’interno), la Commissione Europea convoca i rappresentanti dei tre paesi per trovare l’ennesima, finta, “intesa”. Intanto la crisi sanitaria e umanitaria si aggrava nel Kurdistan turco, dove molti migranti giungono dalle rotte meridionali della Siria e dell’Iraq (l’oriente turco è talora attraversato anche da migranti provenienti da Pakistan e Afghanistan, anch’essi diretti in Grecia), e dove le temperature scendono in questi giorni ampiamente sotto lo zero, rendendo la vita nei campi profughi impossibile.
Naturalmente, quando avviene una morte in una struttura di questo tipo, occorre conoscere esattamente la dinamica e verificare le singole responsabilità. Sul piano generale, tuttavia, occorre sottolineare che le municipalità curde, come Batman, sono da anni sotto attacco da parte del governo in tutte le forme a causa del loro sostegno alla resistenza popolare, il che le ha private di qualsiasi supporto, da parte dello stato, nell’accoglienza dei profughi, anzitutto sul piano finanziario. Va aggiunto, inoltre, che l’attivismo delle città curde del sud-est turco nell’accogliere i rifugiati ha anche un significato politico: da un lato, si inscrive nell’opera di supporto delle popolazioni vittima delle violenze dello stato islamico; dall’altro intende proporre un modello più aperto e meno militarizzato di accoglienza, rispetto a quello del governo turco, i cui campi appaiono vere e proprie caserme a cielo aperto.
Che l’accoglienza, da parte delle città curde, sia strettamente legata alla guerra che formazioni come Pkk e Ypg stanno conducendo contro lo stato islamico in Iraq e in Siria, è dimostrato proprio dal caso di Batman: i profughi, nelle strutture di questa città, provengono essenzialmente da Singal (città irachena la cui popolazione ezida è stata massacrata dall’Is tra il 2014 e il 2015) e da Kobane (che ha dovuto sopportare l’attacco dell’Is tra il settembre 2014 e il gennaio 2015), come mostra il reportage che pubblichiamo qui di seguito. Questo report, completo di interviste a profughi, personale dei campi e un’assessore della municipalità di Batman, è stato realizzato da Infoaut negli ultimi mesi del 2015.
Per maggiore accessibilità, è possibile leggere il report in due puntate:
Migranti in Kurdistan – Parte prima
Migranti in Kurdistan – Parte seconda
da InfoAut