«Non si ammazza la verità uccidendo il giornalista». A Veracruz, in Messico, tornano le fiaccolate dopo la morte di Anabel Flores Salazar, cronista di “nera”, rapita lunedì scorso nella sua abitazione di Orizaba da un gruppo di uomini armati. La procura ha confermato che il corpo abbandonato sul ciglio della strada, seminudo e con le mani legate, nel vicino stato di Puebla appartiene a lei. La giornalista, 32 anni, madre di due figli piccoli, lavorava come free lance per diversi giornali locali. La famiglia ha denunciato subito la scomparsa e ora rifiuta la versione diffusa dalla polizia, secondo la quale Anabel Flores avrebbe avuto contatti con la malavita: in particolare con un narcotrafficante chiamato El Pantera, ora in carcere, con cui sarebbe stata vista ad agosto del 2014.
Non è, infatti, la prima volta che la tesi della polizia locale coincide con quella del governatore Javier Duarte, nel cui mirino finiscono spesso i giornalisti non addomesticati. E Duarte, ancora di recente, aveva invitato i reporter a «comportarsi bene», accusandoli di essere in combutta con i criminali. Da quando Duarte è stato eletto, nel 2010, sono stati uccisi almeno 15 giornalisti. Particolare scalpore ha suscitato, l’anno scorso, il massacro di Narvarte, a Città del Messico, in cui ha perso la vita il fotoreporter Ruben Espinosa, torturato insieme ad altre quattro attiviste. Espinosa, che aveva avuto forti contrasti con Duarte, era fuggito da Veracruz dopo essere stato picchiato e minacciato dalla polizia per aver documentato la repressione contro i maestri in sciopero.
Veracruz è uno degli stati più pericolosi per i media, insieme a Tamaulipas, Guerrero, Chihuahua e Oaxaca. Il 21 gennaio, nella città di Santiago Laollaga, in Oaxaca (nel sud) è stato ammazzato Reinel Martinez Cerqueda, 43 anni, animatore di diversi programmi alla radio comunitaria “El Manantial”. Con l’uccisione di Anabel, salgono a 108 i reporter assassinati in Messico dal 2000. Crimini che – secondo la Comision Nacional de Derechos Humanos (Cindh) — restano per l’89% impuniti.
Cifre ufficiali del governo dicono che sono 27.000 le persone scomparse dal 2006 a oggi. Numeri parziali, secondo Amnesty International, che aggiunge almeno altri 12.000 casi dall’elezione dell’attuale presidente Enrique Peña Nieto, a dicembre del 2012. Il 26 settembre del 2014, ha avuto ripercussioni in tutto il mondo la vicenda dei 43 studenti normalistas di Ayotzinapa, attaccati dall’azione congiunta di polizia locale e narcotrafficanti, e da allora scomparsi. Secondo la versione ufficiale, la polizia avrebbe consegnato i ragazzi ai narcos dei Guerreros Unidos, che li avrebbero uccisi e bruciati nella discarica di Cocula, nel Guerrero.
Una ricostruzione subito messa in dubbio dalle organizzazioni popolari e dalla logica, poiché sarebbe stato assai improbabile bruciare tutti quei corpi senza che se ne avesse sentore nel circondario.
Ieri, l’Equipo Argentino de Antropologia Forense (Eaaf) ha consegnato il suo rapporto sui fatti: non vi sono prove che gli studenti siano stati inceneriti in quella discarica, le immagini via satellite lo escludono. Inoltre, i bossoli ritrovati corrispondono a 39 armi diverse, fra cui alcuni fucili d’assalto, e questo non concorda con le dichiarazioni dei pentiti: i loro capi — hanno confessato i narcos in prigione — quella notte gli avrebbero ordinato di usare solo armi corte. Gli arrestati per i fatti del Guerrero sono un centinaio (fra questi anche l’ex sindaco di Iguala e la moglie), ma nessuno, in Messico, prende per oro colato le confessioni dei detenuti, visto l’uso sistematico della tortura, denunciato costantemente dalle organizzazioni per i diritti umani.
Ma a smentire questo e altri punti della ricostruzione governativa sui 43, è intervenuto, già a settembre scorso, il Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti, inviati dalla Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh), con un rapporto di oltre 500 pagine: il presunto rogo della discarica avrebbe richiesto almeno 30 tonnellate di legna e 60 ore. Inoltre, gli autobus prelevati dagli studenti sarebbero stati 5 e non 4, e su uno di questi avrebbe potuto trovarsi un grosso carico di cocaina o di denaro, essendo il Guerrero un importante snodo per il traffico di droga verso gli Usa. Inoltre ancora, durante l’attacco agli studenti, è stata appurata la presenza dell’esercito e dei servizi segreti, in costante contatto con il governatore locale, noto repressore. La Cidh ha perciò suggerito di indagare più in alto e nelle caserme, ma ha trovato le porte sbarrate.