Secondo alcuni l’obiettivo è sgomberare il campo di Idomeni entro il 4 aprile, data in cui entra in vigore il contestato accordo siglato tra Ue e Turchia. Reportage dal fazzoletto di terra dove la vita è sospesa nel nulla. Il reportage da Idomeni di Carmelita del centro sociale “Zona 22” di San Vito Chietino
È difficile raccontare quello che accade oggi ai confini dell’Europa, a Idomeni, dove migliaia di persone in cerca di libertà e di una vita degna sono bloccate per un tempo indefinito, senza possibilità di poter progettare il proprio percorso di vita, né di avere informazioni su quanto accadrà a loro e alle proprie famiglie.
La situazione di Idomeni è stata definita “drammatica” anche dall’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, che ha accusato i leader europei di “violare i principi della solidarietà, della dignità e dei diritti umani”. Una delle più atroci sconfitte morali per l’Unione europea e per le democrazie occidentali, dove l’umanità e la solidarietà vengono spietatamente calpestate in onore delle leggi del libero mercato.
Abbiamo camminato per ore, tra il fango e il fumo tossico che avvolge la tendopoli, ascoltando storie di vita infranta, parlando con i volontari delle ong, giocando con i piccoli che vivono nel campo, nonostante tutto sempre disposti a sorridere.
Il campo di Idomeni, al momento, conta circa 11.000 persone, di diversa provenienza. La maggior parte sono curdi e siriani, ma ci sono anche iracheni, afghani, giordani, libanesi, bengalesi, pakistani, etc. Circa il 40 per cento sono bambini, costretti a vivere tra freddo e immondizia. Le condizioni igienico-sanitarie sono estremamente precarie, con grave rischio di emergenze sanitarie, ci dice una volontaria di Medici Senza Frontiere (Msf), l’organizzazione più presente all’interno del campo di Idomeni. Il rischio è che con l’aumento delle temperature, possano scatenarsi gravi epidemie all’interno della struttura. Oltre ai tendoni di Msf, sono presenti diverse associazioni per la tutela dei diritti umani, oltre a poche tende dell’Unhcr.
I volontari delle ong si impegnano a gestire la distribuzione di abiti e alimenti, a svolgere attività ludiche con i bambini, a gestire la struttura del campo. Quello che percepiamo, e che ci viene confermato da diversi volontari, è la mancanza di un vero coordinamento tra le ong, e la loro insufficienza di fronte a un’emergenza di tale portata.
La marcia #overthefortress: solidarietà dall’Italia
Durante la nostra seconda giornata di permanenza ad Idomeni, arriva la marcia #overthefortress: quasi trecento persone da tutta Italia. Sono attivisti degli spazi sociali del Nord Est, delle Marche e di Parma, siciliani NoMuos, il “team legale”, gli amici del Baobab, la delegazione di Welcome Taranto, l’associazione lgbt Anteros, la Federazione europea dei giovani Verdi, interpreti di arabo, sanitari, insegnanti e le donne della carovana per i diritti dei migranti.
Portano camion di aiuti umanitari raccolti in Italia, allestiscono due postazioni per portare energia elettrica con generatori e per dare copertura wifi a tutta l’area, indispensabili per i profughi per comunicare con le famiglie e gli amici lontani via telefono e per ricaricare i cellulari. Montano persino un gazebo per le attività con i bambini. E ripartono con la lista di nuovi impegni concordati con Msf, volontari e ong “di base”.
Idomeni e il popolo greco
In prossimità del campo, diverse abitazioni sono state messe a disposizione dagli abitanti greci per permettere ai profughi di trovare ristoro. Qui la solidarietà del popolo greco è altissima. Il gestore di un hotel poco lontano dal campo, ad Evzoni, continua a svolgere la sua attività, dando ospitalità gratuita a diversi profughi che dormono all’interno della sua struttura. Alcuni leader politici dovrebbero prendere esempio da questa enorme lezione di vita che la gente comune è in grado di dare.
Storie di vita ai confini
Ahmed è un uomo siriano. Si è reso subito disponibile a fare da mediatore culturale con alcuni profughi che comunicano in arabo. Ci spiega che le notti ad Idomeni sono insonni per molti, a causa delle temperature troppo rigide e dell’angoscia di ritrovarsi ancora di fronte all’orrore. Ha lasciato la Siria perché la sua città era stata bombardata. Ha perso diversi cari a causa della guerra. Vuole lasciare un messaggio a quelli che “vivono in alto”: “Siamo qui per ottenere salvezza. Siamo arrivati in Europa per un sogno di giustizia. Pensavamo fosse un posto in cui i diritti fondamentali della persona vengono rispettati. Volete che torniamo in Siria? Bene, fermate la guerra e avremo di nuovo un posto in cui tornare”.
In questi giorni in molti lasciano il campo a bordo degli autobus inviati dalle autorità greche per il trasferimento verso i cosiddetti “campi attrezzati”, ovvero campi militarizzati che fungeranno da hot spot per lo smistamento dei richiedenti asilo. L’operazione è coordinata dall’Unhcr, l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, e si inserisce nel contesto del negoziato Europa-Turchia. Secondo alcune fonti l’obiettivo è sgomberare il campo di Idomeni entro il 4 aprile, data in cui entrerà in vigore l’accordo siglato tra Ue e Turchia.
Sei miliardi di euro ad Ankara per il mercato dei migranti
Quello tra Europa e Turchia è un accordo fortemente contestato da diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani. Secondo Amnesty iInternational l’Ue rischia di rendersi complice di gravi violazioni dei diritti umani ai danni di rifugiati e richiedenti asilo in Turchia. Nel rapporto, intitolato “Il piantone dell’Unione europea”, già nel 2015 Amnesty denunciava come, in parallelo con i colloqui tra Turchia e Unione europea in tema d’immigrazione, le autorità di Ankara abbiano fermato centinaia di rifugiati e richiedenti asilo e li abbiano trasferiti in pullman verso centri di detenzione isolati. Alcuni di loro hanno riferito di essere rimasti incatenati per giorni, di essere stati picchiati e infine di essere stati rinviati nei paesi da cui erano fuggiti.
L’accordo tra Ue e Turchia prevede che tutti i “migranti irregolari” che arrivano in Grecia attraverso la rotta balcanica, siano rimandati indietro in Turchia. Eppure, proprio l’assenza di corridoi umanitari sicuri e legali sulla rotta balcanica, determina la condizione di “irregolarità” di chi ha dovuto affrontare un viaggio al limite della sopravvivenza, affidandosi ai trafficanti di migranti per portare in salvo se stesso e la propria famiglia da guerre miseria e persecuzioni.
Per ogni profugo che sarà riammesso in Turchia dalla Grecia, l’Ue s’impegna a riammetterne uno sul suo territorio attraverso un visto umanitario. Tutto l’accordo si basa sul riconoscimento della Turchia come “Paese terzo sicuro” o come “Paese di primo asilo” per quanti successivamente arrivano in Grecia. Definizioni entrambe inappropriate come confermano le condanne che subisce dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo. La Turchia inoltre mantiene tutt’ora la limitazione geografica alla Convenzione di Ginevra, ed è tenuta ad accettare richieste d’asilo provenienti solo da cittadini europei. Un fatto che esclude siriani, iracheni, afghani (per citare tre dei paesi in cui attualmente è più pericoloso vivere) dal riconoscimento dello status di rifugiato. Evidentemente, la Turchia non può essere considerata un “Paese terzo sicuro” dove rinviare persone bisognose di protezione internazionale.
«L’altra grande preoccupazione – come spiegano quelli del Cir (il Consiglio Italiano per i Rifugiati) – è che questo accoda possa essere la causa dell’apertura di altre rotte, ancor più pericolose, che possono riguardare la Bulgaria, l’Albania e i Paesi del Nord Africa. Rotte che potrebbero avere conseguenze per il nostro Paese. La nostra esperienza ci dice, purtroppo, che misure così restrittive non impediscono ai rifugiati di arrivare, ma complicano e rendono ancor più insicuro il loro viaggio».
Il viaggio dell’orrore
W. è partito dalla Siria con sua moglie incinta e i suoi bambini di quattro e cinque anni, assieme ad altre decine di persone. I suoi genitori gli hanno dato tutti i soldi che avevano per sostenere il viaggio verso l’Europa, e portare in un posto più sicuro la sua famiglia. Gli hanno raccomandato di raccontare agli europei che in Siria sono i civili a pagare le conseguenze delle scelte irresponsabili dei governi. Hanno camminato dalla Siria alla Turchia per ore. Solo per qualche breve tratto, un po’ più sicuro dai bombardamenti e libero dalle postazioni militari del governo siriano, hanno viaggiato in autobus. Sono giunti al confine turco-siriano passando attraverso campi e montagne: qui sono stati intercettati dai trafficanti, sciacalli che fanno soldi sulla pelle di chi fugge dagli orrori della guerra. In cambio di denaro, li hanno condotti verso la costa turca evitando i controlli.
Come già detto, la Turchia mantiene tuttora la limitazione geografica alla Convenzione di Ginevra, dunque la regolamentazione sul diritto d’asilo in questo stato è assolutamente insufficiente. In Turchia diventare regolari è molto difficile. Non avendo nessuna forma di protezione sostanziale, il rischio è di finire nei circuiti del mercato del lavoro nero turco, che raggiunge tuttora percentuali spaventose.
Una volta giunti sulla costa turca, W. racconta che per attraversare l’Egeo e giungere sulle coste greche su un gommone, hanno dovuto pagare ai trafficanti seicento euro a persona. Un viaggio terribile: cinque ore di urla disperate dei bambini e delle donne presenti sul gommone, in cui erano presenti cinquantacinque persone. Sulle coste greche sono stati aiutati dai volontari delle ong presenti. Poi hanno proseguito il viaggio verso Kavala. E da Kavala verso Idomeni.
«Siamo confusi, depressi e arrabbiati. Siamo bloccati qui da un mese, e non abbiamo nulla per proteggere i nostri bambini dal freddo. Lasciami dire questo: siamo scappati in quanto “rifugiati” e siamo arrivati in Europa attraverso questo terribile viaggio. Credevamo di trovare nell’Ue un’istituzione potente, che permettesse alle persone di salvarsi e ai bambini di potersi curare o magari di poter andare a scuola. Abbiamo trovato tanti volontari da tutto il mondo che ci hanno aiutati. Ma sono solo persone. Chiediamo all’Europa di aiutarci, perché non abbiamo alternative. Siamo esseri umani. Non siamo animali».
Un altro ragazzo racconta di essere stato costretto a guidare il barcone su cui erano presenti i suoi compagni di viaggio: quindici adulti e quarantaquattro bambini. «La mafia turca – dice – mi ha puntato la pistola alla testa. Tuttora non riesco a chiudere occhio. Ho ancora nelle orecchie le urla dei bambini e il terrore di poter essere stato il responsabile della loro morte in mare».
A., invece dice che la sua città in Siria non è stata bombardata. Daesh (Isis) ne ha preso il controllo militarizzandola. Gli hanno proposto di fornire assistenza economica alla sua famiglia per tutta la vita se fosse andato in Europa a farsi esplodere. Ha deciso di rifiutare questo ricatto ed è dovuto fuggire, con grande dignità e coraggio. Adesso si trova a vivere questo incubo, trattato da reietto ai confini del sogno di libertà che aveva nutrito arrivando in Europa.
Sono molti quelli che hanno attraversato la Turchia, in mano ai trafficanti, per arrivare al confine greco-macedone. Sono molti perché non esistono canali umanitari per il diritto d’asilo europeo che garantiscano percorsi autorizzati e sicuri di ingresso.
L’Europa dell’austerity e delle nuove xenofobie, l’Europa in perenne ricerca di petrolio e di guerre, l’Europa dei cambiamenti climatici… ha strutturato un sistema post coloniale mostruoso. A pagarne il prezzo, naturalmente, sono quelli che “vivono in basso”. Di certo, i flussi migratori non si fermeranno. Siamo di fronte a una sfida epocale.
Carmelita, Zona 22 (Zona 22 è uno spazio di libertà, a San Vito Chietino)
da Comune-Info