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Carceri: A casa gli ultimi 18 mesi. Fuori dalle celle in 3mila (forse)

Nel corso del consiglio dei ministri il nuovo guardasigilli Paola Severino  ha presentato un pacchetto di norme per fare fronte alla cronica emergenza dovuta al sovraffollamento delle carceri. La più importante riguarda l’ampliamento del decreto Alfano sulla detenzione domiciliare che verrà portata dagli attuali 12 mesi a 18. La misura sarà adottata con un decreto, quindi avrà effetto immediato, e riguarderà una fascia molto ristretta di detenuti. Secondo le stime del ministero dovrebbero avvantaggiarsene appena 3300 sui 68 mila reclusi. Il precedente decreto aveva consentito l’uscita di 4000 persone soltanto, più o meno «come svuotare con un cucchiaio il mare dell’illegalità presente nelle carceri italiane», ha commentato la deputata radicale Rita Bernardini che ha anche annunciato la presentazione di un ordine del giorno nel quale si chiede l’impegno del governo a «prevedere scadenze certe entro le quali dimezzare i procedimenti penali esistenti» e «varare un ampio provvedimento di amnistia e indulto». Questo allargamento di pochi mesi della detenzione domiciliare dovrebbe permettere un risparmio giornaliero stimato attorno ai 380 mila euro. Si tratta di una norma “a termine” giustificata dalle condizioni eccezionali, che però alcuni vorrebbero far entrare a regime. In effetti l’unico elemento positivo contenuto in questo provvedimento è l’applicazione estesa anche ai recidivi, nonostante abbia perso l’automatismo previsto in prima stesura che lo ha ricondotto nell’alveo delle competenze della magistratura di sorveglianza, perdendo così d’efficacia e intasando gli uffici. Questo governo, come il precedente, si è reso conto che la legge Cirielli è diventata un tappo che, oltre ad aver aumentato in maniera geometrica le pene, esclude o ritarda l’applicazione della Gozzini ad una moltitudine di detenuti. L’assurdità è che si debba ricorrere ad una norma del genere quando senza la Cirielli l’applicazione piena delle misure alternative avrebbe consentito l’uscita dal carcere di un numero molto più alto di detenuti. Oltre al varo di una sacrosanta amnistia-indulto, per risolvere i nodi strutturali dell’affollamento carcerario, il governo dovrebbe smantellare le leggi liberticide: tra queste la Cirielli, la Fini-Giovanardi sulle droghe e le norme che criminalizzano l’immigrazione. A parlar chiaro sono le cifre indicate dal Dap: nell’ultimo anno sono entrati nelle carceri 68411 persone. Nello stesso periodo ne sono uscite 45mila. Ma quel che più colpisce è che la metà è uscita entro 3 giorni dall’arresto e 10 mila dopo un mese. Il carcere è una sorta di porta girevole della società. Un terzo è finito dentro per stupefacenti, solo 1655 per omicidio, ben 3463 per resistenza a pubblico ufficiale. Un dato, quest’ultimo, abnorme e allarmante poiché mette in mostra come l’autorità di polizia stessa susciti con il suo intervento il reato. Qualcosa evidentemente non funziona. Per fare fronte a questo turnover impazzito, il governo sta pensando ad un disegno di legge che trasformi la detenzione domiciliare in pena principale.Nel frattempo si pensa di rafforzare l’obbligo per le forze di polizia di trattenere gli arrestati nelle camere di sicurezza, «dove per giunta non previsto alcun sindacato ispettivo», sottolinea sempre una contrarissima Rita Bernardini. Ed in effetti l’elevato numero di condanne per resistenza a pubblico ufficiale, oltre ai numerosi casi di violenze all’interno di stazioni e caserme, dovrebbero consigliare maggiore cautela. La permanenza oltremisura in mano alle forze dell’ordine oltre ad accrescere i rischi di violenze, incide negativamente sulla formulazione delle prove. Non fa bene alle indagini e al processo. Oltre all’affollamento ed alle morti, le carceri recentemente assistono ad una preoccupante recrudescenza delle “squadrette punitive”, come i casi di Regina coeli e il processo che si è aperto contro i pestaggi a Sollicciano dimostrano.
Paolo Persichetti