Nella guerra combattuta a colpi di titoli spettacolari della Tangentopoli locale, ha preso la parola l’avvocatura brasiliana che denuncia un assottigliamento pericoloso dei diritti della difesa. Molti legali, alcuni dei quali impegnati come difensori nella principale inchiesta in corso, la Lava Jato, corruzione in Petrobrás, hanno deciso tempo fa di scrivere una lettera pubblica per denunciare i metodi d’indagine. Titolare della Lava Jato è un giudice finora sconosciuto, Sergio Moro, 42 anni, di Curitiba. Dice di ispirarsi ad Antonio Di Pietro.
Di recente ha incontrato il magistrato Piercamillo Davigo. Moro è un giudice federale di prima istanza, le sue decisioni devono tutte passare al vaglio di gradi superiori di giustizia. Gli avvocati brasiliani sostengono che l’uso delle delações premiadas in quest’inchiesta avvenga sistematicamente al di fuori e al di sopra delle leggi. E che sia scomparso in Brasile il rispetto dell’habeas corpus. Scrivono che «la carcerazione preventiva è usata per forzare la chiusura degli accordi di collaborazione». «Un giorno delle persone sono incarcerate per la forza di decisioni che affermano l’imprescindibilità della detenzione, dato che, se messe in libertà, queste persone rappresenterebbero un gravissimo rischio all’ordine pubblico. Il giorno dopo le stesse persone firmano un accordo di delação premiada e sono rimesse in libertà. Di colpo, con una bacchetta magica, tutta l’imprescindibilità della loro detenzione svanisce».
Gli avvocati non dicono solo che c’è stata qualche forzatura sull’uso dei collaboratori da parte degli inquirenti. Sostengono che è in corso un sistematico abuso di potere. «E’ inconcepibile – scrivono nella lettera – che a condurre un processo sia un giudice che si comporta con parzialità. Non c’è processo giusto quando il giudice della causa, esterna il suo convincimento riguardo la colpevolezza dell’accusato». Parlano di attentato ala democrazia, di “stato di diritto sotto minaccia”.
La lettera, che tra i firmatari ha i principali avvocati brasiliani, parla esplicitamente dell’inchiesta in corso. «Per quanto riguarda la violazione dei diritti e le garanzie degli imputati – vi si legge – la Lava-Jato già occupa un posto importante nella storia del paese. Mai c’è stato un caso penale con una così sistematica violazione delle regole minime del giusto processo nei confronti di un numero tanto alto di accusati. Non viene rispettato il principio di presunzione di innocenza, il principio del giudice naturale, vengono selezionati e fatti uscire documenti e informazioni segreti. Quello che si è visto negli ultimi tempi è una sorta di Inquisizione, una neo Inquisizione, nella quale già si sa, prima dell’inizio dei processi, come si concluderanno. Le tappe processuali tra la denuncia e la sentenza servono solo a compiere indesiderabili formalità».
L’Associazione nazionale dei procuratori della Repubblica ha risposto che le accuse sono imprecise, che la lettera «contravviene al principio che vieta accuse generiche». I giudici federali, tramite la loro associazione, si difendono: «Stiamo svolgendo un lavoro esemplare e imparziale, senza dare un trattamento di favore a accusati che dispongono delle risorse necessarie a contrattare i migliori avvocati del paese». I magistrati rivendicano che la maggior parte dei contratti di collaborazione firmata finora è stata sottoscritta da persone che non sono passate dal carcere.
L’ovvia obiezione che la promessa di una mancata detenzione possa far parte degli strumenti indebiti di pressione non fa breccia in un’opinione pubblica incattivita dalla crisi economica e affamata di giustizia spettacolo.
Una obiezione di merito rimasta tuttora senza risposta alla lettera degli avvocati, è uscita sul giornale carioca O Globo, nella colonna dell’editorialista Merval Pereira. «Di certo tutti i discorsi su una presunzione di innocenza astratta, che non fanno i conti con l’analisi probatoria, molto semplicemente, non hanno più la stessa forza di un tempo se ci si trova di fronte a delazioni premiate accompagnate da prove robuste» scrive Pereira.
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