La Storia li ha condannati ma la politica continua a costruirli. Con un’ossessione: fermare i migranti
Muri fisici o muri virtuali, l’Europa ne sta vedendo sorgere ogni giorno qualcuno, a sbarrare strade che de decenni erano aperte come simbolo stesso dell’essenza dell’integrazione del Vecchio continente. Il crollo del Muro di Berlino nel 1989 è il simbolo del massimo successo (pacifico) raggiunto dal modello europeo, e ora altri muri stravolgono e minacciano quel modello.
La chiusura del valico del Brennero è un chiaro esempio di questo nuovo clima, sia che quella barriera resti solo una minaccia, sia che sia formata da “sbarramenti” amministrativi, ma ancor più se venisse tirata su una vera e propria linea di separazione, magari fatta di reti metalliche. Così come l‘Austria intende fare anche al confine con l’Ungheria. Budapest a sua volta ha costruito barriere ai confini con Croazia e Serbia, ce ne sono tra la Croazia e la Slovenia e tra la Slovenia e l’Austria, e naturalmente una delle più famose degli ultimi tempi, quella tra Grecia e Macedonia, lì dove sorge la tendopoli di Idomeni dove si ammassano migliaia di profughi dopo la chiusura della “rotta balcanica”.
Sono strutture che non hanno la pretesa di essere permanenti, in muratura, ma solo di impedire il libero transito del confine e di convogliare le persone verso posti di controllo. Ma di fatto in un modo o nell’altro l’Europa oggi è piena di strade sbarrate. Come mura esistono ai suoi confini, per esempio verso la Turchia sui territori di Bulgaria e Grecia, o verso la Russia sul confine estone e come ha più volte minacciato di fare l’Ucraina. Muri per fermare le tensioni, che siano provocate dai migranti oppure dalla violenza. Ma la Storia ha dimostrato che questi muri non reggono per molto e non servono più di tanto.
La Storia è ricca di esempi di muri tirati su per risolvere un problema, ghettizzare un popolo, difendere un privilegio, conquistare un territorio. E si può dire che mai tanti chilometri di diverse barriere siano stati eretti come negli ultimi decenni. Esistono mura di ogni tipo, per proteggersi dai nemici o per impedire l’accesso, mentre il Muro di Berlino è un caso raro di barriera eretta per tenere dentro qualcuno, come una specie di prigione.
Il 9 novembre 1989, l’improvvisa caduta del Muro di Berlino ha segnato la fine della Guerra Fredda. Il battesimo era stato altrettanto rapido e improvviso: all’1.05 di domenica 13 agosto 1961 si spengono bruscamente le luci della Porta di Brandeburgo, oltre diecimila soldati della Germania Est prendono posizione lungo la linea che divide la città, all’1.54 le metropolitane abituate a percorrere l’intera città vengono fermate e rimandate indietro, ai passeggeri viene restituito il prezzo del biglietto e viene loro detto di tornare nel loro settore. I militari sistemano ovunque il filo spinato: degli 81 punti di passaggio stradali solo 12 restano transitabili, e sotto stretto controllo. Già il 15 agosto il filo spinato iniziava ad essere sostituito da elementi prefabbricati in cemento e pietra. Alto quattro metri, dal 1975 venne composto di 45mila sezioni separate di 1,5 metri di larghezza, e affiancato nella “striscia della morte” da recinzioni, trincee anticarro, oltre 300 torri di guardia con cecchini armati, trenta bunker e una strada illuminata per il pattugliamento. Di fatto circondava interamente Berlino Ovest, enclave occidentale in territorio comunista. Un’altra barriera storica che ricorda un odio che appare intramontabile è quella che divide in due la Corea fin dal 1953 per 246 chilometri, la frontiera più militarizzata del mondo e ancora oggi espressione di un conflitto che attraversa i decenni.
Di lunga durata è anche il muro che spacca in due Cipro: la Linea Verde corre da costa a costa per 180 chilometri dividendo in due Nicosia. La barriera venne innalzata nel 1974 dopo che la Turchia invase la zona nord dell’isola per proteggere i turchi-ciprioti di fronte a un golpe militare filo-greco. Ci sono poi città frammentate da muri: l’esempio storico più celebre è Belfast, dove le barriere separano i quartieri cattolici e quelli protestanti. Dietro questi che vengono chiamate Peace-line vive il 53% della popolazione.
Un modello che sta raggiungendo anche altre città devastate da conflitti più recenti: Baghdad è divisa in quartieri etnici separati da barriere e posti di controllo, la chiamano ormai Madet al Judran, la città dei muri. Celebre poi oggi la barriera (The Fence) eretta da Israele al confine con la Cisgiordania, un progetto da quasi 700 chilometri molto criticato dalla comunità internazionale, pensato per bloccare l’infiltrazione di terroristi palestinesi. Nei tratti più famosi ha l’aspetto di un muro di cemento, mentre per la maggior parte si tratta di un reticolato alto circa tre metri, con ulteriore sbarramento in filo spinato, telecamere, sensori elettronici, sabbia per le impronte, fossato anticarro, strada per le pattuglie a piedi e per quelle motorizzate.
Barriere esistono anche verso Gaza, Egitto, Giordania. In Africa un muro storico è quello costruito dal Marocco nel Sahara occidentale, barriere e campi minati costruiti in sei fasi dal 1982 al 1987 che impediscono per 2.720 chilometri al popolo Saharawi di rientrare nella terra contesa.
Ma l’idea che i muri potessero impedire alla gente di spostarsi è molto più antica, gli esempi sono sterminati: il re sumero Shu-Sin (2038-2029) fece costruire una linea di fortificazioni lunga 270 chilometri sul medio Eufrate per fermare i nomadi; la XII dinastia egiziana creò una barriera lungo il Sinai per impedire l’accesso all’Egitto alle popolazioni semitiche siro-palestinesi; la Grande Muraglia cinese fin dal III sec. a. C. riunì in un sistemale mura precedenti, per sbarrare le porte della Cina ai nomadi della Mongolia lungo almeno 8.850 chilometri; Roma poi costruì fortificazioni lungo tutto il suo limes, dal celebre Vallo di Adriano fra Scozia e Inghilterra (117 km dall’imboccatura del Tyne al golfo di Solway) fino alle mura degli Agri Decumati, 548 chilometri dal Reno al Danubio.
Oggi come dicevamo sono soprattutto gli attraversamenti dei migranti clandestini a fare paura, così che non solo in Europa ma in tutto il mondo sono sorti migliaia di chilometri di nuovi muri. È il caso del Muro di Tijuana, 1.200 chilometri di barriere lungo i 3.200 km di confine tra Stati Uniti e Messico, in continua espansione e tuttora al centro del dibattito politico americano.
Ma anche dei 4.100 chilometri della gigantesca barriera progettata dall’India lungo tutto il confine con il Bangladesh. Sul fiume Brahamaputra il muro sarà costruito anche su isole galleggianti. In India d’altro canto c’è già un’altra lunghissima fortificazione divisoria, i 2.000 chilometri di muro che dividono il Kashmir separandolo dal Pakistan, frutto di un contenzioso che risale al 1947, è costato 3 guerre ed è tuttora fonte di grandi tensioni.
Poi c’è il muro di cemento tra Arabia Saudita e Yemen, e la barriera (nominalmente per il bestiame) che “difende” il Botswana dallo Zimbabwe.
Mura conclusi o progettati dividono la Thailandia dalla Malesia, l’Uzbekistan dal Tajikistan, l’Afghanistan dal Pakistan. La Turchia ne sta costruendo uno al confine con la Siria, e la Tunisia alla frontiera libica.
Ci sono poi le barriere che dividono le enclave spagnole in Marocco di Ceuta e Melilla dal resto dell’Africa, ciclicamente prese d’assalto da ondate di migranti che vogliono raggiungere il territorio dell’Unione europea. Secondo una stima del quotidiano britannico The Guardian, i muri attivi nel mondo raggiungono un totale di ottomila chilometri di cemento armato, reti, filo spinato, sensori elettronici, ma probabilmente sono di più. E se ne progettano tanti altri per il prossimo futuro.
Valerio Sofia da il dubbio