Sono passati oltre tredici anni dall’occupazione di un palazzo demaniale situato a due passi da Piazza Vittorio a Roma che ha dato origine al fenomeno Casa Pound. L’avventura dei «fascisti del terzo millennio», cresciuti all’ombra della stagione berlusconiana come una sorta di avanguardia giovanile di quel senso comune identitario e xenofobo che si è andato diffondendo nel paese, si è arricchita di nuovi capitoli. Mentre il circuito del gruppo si è sedimentato – fino a produrre i risultati elettorali di Bolzano o il determinante sostegno, nel 2014, alla conquista di un seggio a Bruxelles da parte di Borghezio – Casa Pound è passata dall’interlocuzione con il centrodestra al rapporto stretto con la «nuova» Lega di Salvini. Questo, in parallelo con l’aumento dei casi di cronaca e di violenza in cui i militanti di Casa Pound sono stati coinvolti e che di recente il ministro dell’Interno ha riassunto nella «presenza, all’interno del sodalizio o in ambienti vicini ad esso, di elementi inclini all’uso della violenza intesa come strumento ordinario di confronto e di affermazione politica». Fino al caso emblematico della strage di migranti compiuta nel dicembre del 2011 a Firenze da Gianluca Casseri, legato alla sede pistoiese del gruppo.
Formazione egemone dell’estrema destra italiana, Casa Pound non rappresenta un caso isolato in un’Europa scossa da un potente vento nazionalista che vede riemergere i fantasmi più terribili del passato nel clima incerto della crisi, pur conservando una diversità rispetto ad altri movimenti europei quanto ad impostazione ideologica e a metodologia di radicamento. Queste due ipotesi di indagine, vale a dire quella che ha a che fare con il rapporto con l’onda nera che scuote il Vecchio continente e quella che si basa invece sullo specifico tutto italiano del fenomeno, sono alla base dell’originale ricerca proposta dalla giovane antropologa Maddalena Gretel Cammelli in Fascisti del terzo millennio (ombre corte, pp. 128, euro 12).
Il volume si propone, attraverso una serie di interviste, la frequentazione di alcuni luoghi di ritrovo dei suoi militanti, a cominciare dal palazzo occupato nel centro della Capitale, e una accurata disamina dei materiali prodotti da questo circuito – dai «documenti programmatici» fino ai testi dei gruppi fascio-rock – di comporre una vera e propria «antropologia di Casa Pound».
Muovendo dal lavoro per molti aspetti pionieristico svolto dall’antropologo statunitense Douglas Holmes all’inizio del nuovo millennio sulle forme di integralismo identitario di stampo neo-fascista sviluppatesi negli anni Ottanta e Novanta in tutta Europa sullo sfondo della crisi sociale e dell’affermazione del neoliberismo economico, l’autrice propone di leggere le vicende di Casa Pound nel contesto temporale «della globalizzazione e del cambiamento nell’attribuzione di significati che questa ha portato con sé». Holmes definisce infatti con il termine di «integralismo» quei movimenti e correnti di pensiero che «sfruttando le paure prodotte da tale crisi di senso, promuovono forme essenzializzanti di appartenenza».
La paura è il tratto dominante di questa proposta integralista che vede Casa Pound accumunata ad altri movimenti o partiti del resto d’Europa: una paura che si articola in vari modi, a partire da una determinante scissione tra un noi e un loro declinata in due aspetti. Da una parte, «un loro che è in alto: le lobby economiche, le multinazionali, le banche, il Fmi che vengono percepiti come espropriatori della sovranità nazionale» e a cui si risponde con lo slogan «No Euro». Dall’altra, «un loro che è invece in basso: i migranti, l’invasione che potrebbe portare alla contaminazione, alla perdita dell’omogeneità interna» che motiva le parole d’ordine xenofobe come «Prima gli italiani» e le campagne aggressive contro i centri di accoglienza per profughi e richiedenti asilo.
Per Casa Pound tutto ciò si traduce in una rivendicata continuità con la storia e la tradizione del fascismo, «quello che precede e quello che segue la fine di Mussolini». Un percorso che si situa all’interno di una strategia emersa da tempo in questi ambienti – è tra gli altri l’ex Nar e Terza Posizione Gabriele Adinolfi ad aver sostenuto il recupero di una tradizione tout court fascista sotto le sembianze di una proposta politica «sociale» e «non conforme» – che si intreccia con la costruzione di una «comunità» che più che su di un approccio ideologico si basa su uno stile di attivismo più volte rivendicato dai militanti come «squadrismo mediatico».
Parte di un fenomeno che traversa l’intera crisi dell’Occidente, Casa Pound propone così un’«innovazione» che è però tutta italiana. Quella del riemergere di un’identità fascista che per quanto si situi nel «terzo millennio» e si fondi su forme di partecipazione decisamente attuali – dai concerti al pogo militaresco della «cinghiamattanza» fino alle competizioni di Mma – rinvia a quelle «idee senza parole» di cui parlava Furio Jesi e a quella «religione della morte» di cui il ventennio fascista e Salò furono drammatiche incarnazioni. Con una necessaria accortezza, però: in una stagione dominata da simboli, parole vuote e immagini mitizzate, si deve fare molta attenzione visto che, come suggerisce Cammelli, «non si possono isolare i fascisti del terzo millennio come fossero mostri nostalgici, quando il linguaggio di Casa Pound» è lo stesso di larga parte della politica italiana.