Poche settimane fa al Senato, l’8 giugno, è stato approvato il ddl 1932, cosiddetto di contrasto alle intimidazioni ai danni degli amministratori locali.
Si tratta di base della modifica di alcuni articoli del codice penale riguardanti il reato di intimidazione o minaccia esteso anche singoli componenti del corpo politico, amministrativo o giudiziario. Rispetto a questo reato “le pene sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso ai danni di un componente di un corpo politico, amministrativo o giudiziario a causa dell’adempimento del mandato, delle funzioni o del servizio”. Prima firmataria del testo è la senatrice del Partito Democratico Doris Lo Moro, magistrato (chi l’avrebbe mai detto?) ed esperta di antimafia. I senatori firmatari si sono ispirati al lavoro della commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali, costituita a inizio legislatura.
Quando si mobilita l’armamentario retorico della lotta antimafia si può star certi altri danni verranno procurati altrove. In fondo si tratta di uno di quei tabù fondamentali che fonda la stabilità democratica e repubblicana imponendo l’idolatria e l’intoccabilità dei principi dell’autorità statuale e della legalità. Un meccanismo narrativo perverso che intorbidisce inevitabilmente ogni tentativo minimo di comprensione dei fenomeni sociali. Basta infatti sfogliare, anche distrattamente, la relazione finale della commissione parlamentare d’inchiesta dalla quale il legislatore ha tratto ispirazione, per accorgersi come fenomeni distanti, differenti quando non alternativi, vengano accomunati sotto la medesima etichetta di atti indimidatori contro gli amministratori locali. Sotto la stessa casistica cadono i tentativi della criminalità organizzata di condizionare l’apparato pubblico e le sue scelte, come gli episodi registrati in val di Susa (non si dice quali, ma poco importa in fondo); i fatti riconducibili alla rivalità politica come le proteste per il diritto alla casa (con la partecipazione di elementi appartenenti alla galassia antagonista). Non solo i moventi sono ricondotti all’indistinzione ma la stessa casistica degli atti intimidatori resta vaga e indeterminata. Sono allo stesso titolo atti intimidatori l’incendio di un auto, la violenza privata, uno stato su facebook e un volantino: cambia solo il grado, da grave a lieve.
Il fatto sul quale il legislatore interviene, poniamo un attentato incendiario alla casa di un sindaco qualsiasi in una qualsiasi città o cittadina, istituisce una norma la cui forza si estende a una casistica ben più articolata, complessa e diversificata. L’occhio del legislatore privilegia le finalità che governano l’atto illecito: il contrasto dell’autorità istituzionale, ad esempio. Questo aspetto su cui la norma si struttura, orienta poi l’interpretazione dei fenomeni. Qualsiasi genere di conflitto con la sfera istituzionale è interpretabile (e inquisibile) come atto intimidatorio se nel definire questo concorre l’intenzionalità di condizionare l’esistente in quanto apparato istituzionale di amministrazione di un rapporto sociale.
Giusto due anni fa la vicenda dei Precari Bros a Napoli vide lo storico movimento di disoccupati inquisito per associazione a delinquere con finalità estorsive. Cosa veniva contestato? In primo luogo la capacità di organizzarsi-contro per avanzare un potere contro un altro e così non subire più… la disoccupazione, la disperazione sociale, le clientele, l’arroganza di chi comanda, Tutto ciò sorge sulla fine di ogni contrattazione sociale possibile anche, e soprattutto, per la sproporzione nei rapporti di forza tra chi ordina la trama dei rapporti sociali e chi la subisce. L’impossibilità per noi della loro democrazia. Dove la democrazia non basta a regolare il mantenimento dei rapporti sociali arriva la magistratura. Non è certo da ieri, infatti, che vediamo solerti magistrati e zelanti poliziotti sostituire il Partito Democratico – per parlare giusto del polo politico più avanzato (addirittura?) della governamentalità di questo paese – in rappresentanza della politica, laddove il partito di sistema scivola troppo nelle contraddizioni della realtà che vorrebbe governare e subisce la conflittualità sociale. La Val Susa, ancora, ci insegna qualcosa a riguardo.
E’ un piano inclinato rispetto al quale il PD, e le forze che governano, sanno di scivolare. Le contestazioni si susseguono e le forze politiche si distinguono non tra chi si organizza nei contesti e nelle contraddizioni della conflittualità sociale, ma tra chi può almeno attraversarli e chi ne è irrevocabilmente straniero. Sotto questo profilo abbiamo l’impressione che l’uso che gli strati proletari hanno fatto, anche nell’ultima tornata elettorale, del movimento 5 stelle testimoni per loro quanto meno la titolarità di un lasciapassare a non venir presi a sputi ogni qualvolta si presentano per strada. Non poco al giorno d’oggi. Un Tronti dedito a una serie di novelle considerazioni più inadeguate che inattuali, ha di recente dichiarato che il Partito Democratico deve riscoprire il conflitto. Ma di cosa stiamo parlando? Un più smaliziato Macaluso in un’intervista sull’Unità ha replicato: ‘certo, ma chi lo fa? Quale partito, quali militanti, quali figure?’. Giusto un borioso come Sala, l’orgoglio dei democratici alle recenti amministrative (caspita!) poteva raccogliere la sfida, così ieri ha deciso di tenere al Giambellino la prima riunione di giunta. Voleva parlare alla gente. Non con la gente, alla gente. Manco a dirlo si sono rinchiusi in una sala con la stampa. Fuori dalla porta, polizia e carabinieri, oltre di questi gli abitanti del quartiere ai quali ancora non tornano i conti di EXPO e gli sgomberi Aler per ripulire Milano in vista del gran banchetto, ancora oltre il resto del quartiere. L’ossessione per le periferie sta diventando proporzionale esattamente al loro grado di impraticabilità per il PD.
Martedì a Pisa, dopo il crollo del soffitto in una casa popolare, gli inquilini e alcuni membri del comitato di quartiere di Gagno si sono recati in comune per chiedere conto dell’accaduto all’assessore comunale alla casa la quale per tutta risposta ha girato i tacchi e si è data alla fuga scortata dagli agenti municipali. In serata un comunicato di due senatrici del Partito Democratico, Cardinali e Gatti, hanno invocato la pronta approvazione anche alla camera del ddl di contrasto agli atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali: “Sono veri e propri atti intimidatori ai danni di quanti ancora oggi, seppur con mille difficoltà, svolgono il proprio dovere al servizio dei cittadini”. Una quadratura del cerchio perfetta, espressione della più pura e metodica disabitudine alla ruvidezza delle dimensioni sociali, all’incapacità di assumersi responsabilità politiche e di condurre un confronto. Prima ancora che un riscontro nell’effettualità giuridica del provvedimento di contrasto alle intimidazioni per mettersi in salvo, contenere e reprimere le spinte sociali che lo travolgono, il PD è in cerca di dispositivi autoassolutori. La macchina inizia a perdere pezzi: Renzi, lanciato verso il referendum su se stesso di ottobre, non è più un intoccabile.
da InfoAut