La paura non deve sopraffare l’intelligenza, la razionalità, diceva l’ambasciatrice francese Catherine Colonna poche ore prima dell’attentato di Nizza. Nel cortile di palazzo Farnese storica sede dell’ambasciata francese, la banda dei carabinieri suonava l’Inno di Mameli e la Marsigliese per la festa della Bastiglia. Fuori i controlli di sicurezza francesi con la polizia e i militari italiani schierati a protezione dell’ingresso. Che la Francia sia nel mirino è un’ossessione quotidiana, fuori e dentro il Paese. Chi sono gli attentatori di Nizza? Lupi solitari, esponenti di un terrorismo che si è radicalizzato in solitario sul web, oppure membri addestrati di cellule jihadiste legate all’Isis come quelli che hanno già colpito a Parigi con la strage del Bataclan?
E’ questa la polemica scoppiata da qualche tempo tra due eminenti studiosi ed esperti francesi, Gilles Kepel e Olivier Roy: il primo sostiene che siamo di fronte a una deriva generale dell’islamismo estremista, il secondo afferma che la religione non è determinante ma che conta assai di più la diffusione di una radicalizzazione individuale e sociale della violenza.
Come si vede anche gli esperti sono disarmanti e forse disarmati nelle chiavi di interpretazione di questi tragici eventi. Una riposta affidabile davanti a questa strage spaventosa di Nizza non è ancora possibile ma la Francia non è l’America: il terrorismo di matrice islamista su questo territorio è radicato da anni, centinaia di cittadini francesi si sono arruolati nell’Isis per combattere contro il regime di Bashar Assad e proprio il ritorno dei jihadisti dalla Siria è uno dei fenomeni più temuti dai servizi di sicurezza di Parigi. La Francia è il Paese che produce più jihadisti in Europa. Un rapporto parlamentare afferma che nel 2015 erano già più di 1.500 i giovani legati al network islamista radicale.
Ricordiamoci che dopo le stragi di Parigi dell’anno scorso la Francia reagì con i bombardamenti su Raqqa, capitale del Califfato. Ma la stessa Francia non aveva visto con dispiacere l’arrivo dei jihadisti in Siria dalla Turchia per abbattere il regime di Assad e poi, dopo gli attentati in casa, non ha esitato a contattare Damasco per esercitare la sua rappresaglia.
Quello che vivono i francesi e gli occidentali è anche il risultato di politiche assai contradditorie nei confronti del mondo musulmano, le stesse che hanno condotto prima all’intervento di Putin in Siria a fianco di Assad e ora alla trattativa tra Mosca e Washington per coordinare gli sforzi per combattere il Califfato. Le potenze occidentali cinque anni fa puntavano su una rapida caduta del regime di Damasco ora si rendono di conto insieme ai loro alleati mediorientali come la Turchia e l’Arabia Saudita di avere commesso un clamoroso errore di calcolo che ha aperto le porte al terrorismo in Europa, alle migrazioni incontrollate e alla destabilizzazione.
La Francia vive un allerta continuo, dentro e fuori le frontiere dell’Esagono. Pochi giorni fa è stato chiuso il consolato francese di Istanbul, proprio di fronte a quello italiano, dove l’Isis ha appena colpito con un commando l’aereoporto internazionale Kemal Ataturk. La Francia ogni giorno di più percepisce una minaccia alla sua sicurezza.
A cento anni di Sykes-Picot, l’accordo franco-britannico che spartì il Medio Oriente, a quasi 60 anni dalle avventure coloniali terminate nel sangue con la guerra d’Algeria, la Francia in realtà non è mai uscita dal Medio Oriente e dal Nordafrica come dimostrano anche le sue iniziative politiche e militari di cui quella più clamorosa, e che ci riguarda da vicino, è stata nel 2011 il bombardamento del raìs libico Muhammar Gheddafi.
Forse non stupisce neppure che sia stata colpita la Promenade des Anglais mentre esplodevano i fuochi di artificio del 14 luglio. I servizi francesi per la sicurezza interna, DGSI, si erano appena detti convinti che lo Stato Islamico sarebbe passato “alla fase delle autobomba” anche in Francia, come a Baghdad o Damasco. Ma qui, come sappiamo bene, nessuno è al sicuro: l’attentato di Dacca con i suoi morti italiani ha chiaramente indicato che il terrorismo può colpire ovunque e chiunque, americani, francesi, europei e musulmani, che vivono questa tragedia del terrore sulla loro pelle da qualche decennio. E’ fondamentale, come dice l’ambasciatrice francese, che l’intelligenza non sia sopraffatta dalla paura.
Alberto Negri da il Sole 24Ore