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4 agosto 1974 – La strage dell’Italicus

strage italicus

4 agosto 1974, ore 1,23 di notte. Il treno espresso Roma-Monaco delle ferrovie tedesche — che altri chiamano Italicus — sta attraversando l’Appennino. Più precisamente sta percorrendo i 18,507 km della Grande Galleria, una delle venti più lunghe al mondo.

Quando il treno è ormai a cinquanta metri dall’uscita del traforo, una bomba ad alto potenziale esplode nella carrozza 5. La carrozza prende fuoco, ma il treno riesce ad arrivare per forza d’inerzia nella stazione di San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna.

Nell’attentato perdono la vita 12 persone, 48 rimangono ferite. Poteva andare molto peggio, in realtà: se la bomba fosse esplosa nel mezzo della Grande Galleria, i morti e i feriti sarebbero stati sicuramente molti di più.

Il movimento neofascista Ordine Nero rivendica l’attentato.

La strage sul treno Italicus si inserisce in un contesto drammatico: il 21 novembre 1973 il ministero dell’Interno aveva sciolto il movimento politico Ordine nuovo, gli attentati appaiono dunque come la reazione al provvedimento che aveva messo in ginocchio l’estremismo nero. Impossibile, tuttavia, non vedere il nesso con i progetti autoritari che da oltre un quinquennio erano in gestazione. Proprio a inizio gennaio del 1974 il ministro della Difesa Mario Tanassi fu costretto a rispondere alle numerose interrogazioni parlamentari che chiedevano chiarezza sugli allarmi circa l’imminenza di un colpo di Stato. Le indagini della magistratura, tra depistaggi e coperture, si orientarono, così, verso il Fronte nazionale rivoluzionario, una formazione di estrema destra attiva in Toscana che aveva teorizzato il ricorso alle stragi contro civili inermi per creare le condizioni per un intervento delle Forze Armate e di conseguenza per lo scoppio di una guerra civile. Del gruppo, in legame con la loggia massonica P2 guidata da Licio Gelli, facevano parte, tra gli altri, Luciano Franci, Mario Tuti, Marco Affatigato, Andrea Brogi e Augusto Cauchi. L’intralcio alle indagini ebbe i risultati sperati: solamente nel gennaio del 1975 le forze di polizia riuscirono a neutralizzare il Fronte nazionale rivoluzionario, dopo un ennesimo attentato compiuto sulla linea ferroviaria di Terontola il 6 gennaio 1975. La perquisizione dell’abitazione di Mario Tuti, avvenuta pochi giorni dopo, costò la vita al brigadiere Leonardo Falco e all’appuntato Giovanni Ceravolo.

Le indagini, tra depistaggi e coperture, si orientarono verso il Fronte nazionale rivoluzionario, una formazione di estrema destra che aveva teorizzato il ricorso alle stragi contro civili inermi per creare lo scoppio di una guerra civile

L’istruttoria per l’attentato al treno Italicus si concluse il 31 luglio 1980, a due giorni dalla bomba alla stazione di Bologna. Il processo di primo grado si pronunciò, quanto all’imputazione di strage, con l’assoluzione per insufficienza di prove di Mario Tuti, Luciano Franci e Piero Malentacchi, con decisione presa dalla Corte d’Assise di Bologna il 20 luglio 1983. In appello l’assoluzione venne confermata per il solo Malentacchi, mentre Tuti e Franci furono condannati all’ergastolo nel 1986, sentenza, tuttavia, annullata dalla Corte di Cassazione il 16 dicembre 1987. I due vennero definitivamente assolti dalla sentenza di Cassazione del 22 marzo 1992.

Strage impunita, dunque, sebbene da altri processi sarebbero emersi molte conferme dell’impianto accusatorio nei confronti del Fronte nazionale rivoluzionario. L’attentato, tuttavia, rappresentò un vero e proprio spartiacque nella storia dell’eversione e delle minacce alla democrazia, la cui importanza non è ancora emersa in tutta la sua portata.

Il 18 Dicembre 1986 vennero condannati all’ergastolo  Mario Tuti e Luciano Franci, esponenti del gruppo neofascista “Ordine Nero”.  Ordine Nero era stato il naturale erede di Ordine Nuovo, gruppo neofascista disciolto nel 1973 a causa delle sue responsabilità non solo per la strage di Piazza Fontana ma anche per le pericolose attività svolte dalla sua cellula veneta.

Ma 16 dicembre 1987 la Corte di Cassazione rese nulle le condanne a Tuti e Franci emesse la Corte d’Asside d’Appello di Bologna.

Nel 1992 la Corte di Cassazione mise definitivamente la parola fine ai procedimenti a carico dei due neofascisti.

Risultato: per la giustizia italiana i colpevoli della strage dell’ Italicus non hanno ancora un nome.