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Abusi su una minorenne a Melito (Rc), indagato un poliziotto

Antonio Schimizzi, pubblico ufficiale in servizio nella Polizia a Monza, è accusato di aver avuto rapporti sessuali con la ragazzina, approfittando dello stato di inferiorità fisica e psichica ed  il tentativo di coprire le violenze del fratello sulla minore 

Nessuna misura cautelare, ma accuse pesantissime. È grave e complicata la posizione di Giacomo Iachino e Antonio Schimizzi, convocati per l’incidente probatorio fissato nell’ambito dell’inchiesta Ricatto, che ha svelato gli abusi subiti per anni da una tredicenne di Melito. I due sono entrambi accusati di aver avuto rapporti sessuali con la ragazzina, approfittando della sua condizione di inferiorità fisica e psichica. Ma Schimizzi rischia anche dipassare guai per aver tentato di occultare un reato.

POLIZIOTTO INFEDELE Pubblico ufficiale, in servizio a Monza fra i ranghi della Polizia, secondo quanto emerso dalle indagini, Schimizzi non solo avrebbe avuto un rapporto con la ragazzina, ma sarebbe stato anche a conoscenza degli abusi che per anni il fratello Davide, insieme al branco che aveva radunato attorno a lui, le hanno inflitto. Con Antonio, spiega la ragazzina alla psicologa, ci sarebbe stato almeno un rapporto sessuale, ma «non faceva parte del ricatto, ci siamo sentiti così, abbiamo messaggiato e poi ci siamo visti.. sì c’è stato, però non faceva parte di questa cosa, non faceva parte del ricatto». L’ormai sedicenne spiega però che lei non si è negata a quel rapporto perché «dopo questi ricatti, dopo queste cose che erano successe, io non avevo più.. non avevo più stima di me stessa completamente». Ecco perché il gip non può considerare consensuali quei rapporti.

CONSENSO CONDIZIONATO La ragazza – spiega il gip Bennato – «parla di consenso, ma la sua volontà, già acerba ed incompleta per età e condizione evolutiva, era fortemente viziata e mutilata da una condizione di disistima e disprezzo per la propria persona e di totale svilimento del proprio corpo che, invece di prepararsi gioiosamente e correttamente a vivere in pieno la propria femminilità, era stato ridotto – non da lei, ma da un manipolo di balordi – ad oggetto da usare al soddisfacimento dei propri brutali e patologici istinti sessuali. Dunque, ogni “offerta” di quel vuoto “simulacro corporale” era vissuta dalla ragazza senza alcuna correlazione con l’originario ricatto, sebbene corollario di quel genetico ingresso all’inferno».

SAPEVA DEGLI ABUSI Una condizione che per professione Antonio Schimizzi avrebbe dovuto riconoscere e denunciare, piuttosto che approfittarne, anche perché – sottolinea il gip Bennato – «non vi è dubbio che Antonio Schimizzi, vieppiù a cagione della professione di poliziotto, fosse pienamente a conoscenza degli abusi subiti dalla minore». A detta del giudice, ci sono almeno due telefonate che lo dimostrano. Risalgono al periodo in cui i carabinieri avviano le indagini per identificare gli aguzzini della ragazzina, che nell’estate del 2015 decide infine di denunciare quanto successo.

«COMPARE, STAI TRANQUILLO» Davide Schimizzi, fratello di Antonio, è spaventato e chiama il fratello maggiore per chiedere un consiglio su come comportarsi. E il poliziotto, che per mestiere sarebbe chiamato a combattere certi abusi, lo rassicura. «Compare, può fare quello che vuole, che non c’è nessun problema. Ma gli ha potuto dire quello che vuole, che il fatto lo poteva fare solo entro un termine.. non lo può.. non mi ricordo se erano sei mesi.. tre mesi o sei mesi. E ora sono passati», sottolinea ridendo. Passa qualche settimana e il fratellino è sempre più preoccupato. Sa che presto lo chiameranno, come hanno fatto con altri. Allora Antonio Schimizzi lo istruisce: «Allora tu in ogni qualsiasi caso ti chiamano tu vai e dici io non mi ricordo niente! Perché no! Gli devi dire che quando mi chiamate in giudizio poi ne parliamo, adesso a titolo informativo non vi dico niente! e scrivete quello che volete! Non ho nulla da dichiarare! Esattamente così! Così gli devi dire! Davide non fare lo stupido ( stortu”) così gli devi dire, perché altrimenti ti fanno fare,ehm ti danno un’altra cosa, tu non gli dire niente, perché se gli dici qualcosa fanno un’altra cosa loro, capito? E poi rompono i coglioni!».

IL DECALOGO L’altra cosa per Antonio Schimizzi è un arresto. Si illude che senza ammissioni da parte del fratello, inquirenti e investigatori non abbiano elementi sufficienti per procedere, quindi gli ordina di dire «guardate vi dico la verità non mi ricordo! E come fai a non ricordare? Ehm sono stato con tante ragazze ed è successo troppo tempo fa! Non mi ricordo!». Insiste il tutore dell’ordine pubblico, istruisce il fratello con il decalogo di tanti criminali «Se insistono e ti fanno ancora, gli devi dire non ho niente da dichiarare! Scrivete digli, non ho niente da dichiarare! (..) Però non andare scontroso, vai normale, perché poi ti fanno altre cose , tu vai normale! Poi se ti istigano per parlare non gli dire niente! Hai capito? Non ci dire niente, qualsiasi cosa che ti domandano dici non no, non ricordo, non mi ricordo e non mi ricordo!». Consigli che al poliziotto rischiano di costare molto caro.

L’AMICO DI GIOVANNI A dare indicazioni per primo sull’infermiere di Melito è stato invece il padre della ragazzina, che dopo il colloquio con la figlia si è presentato dai carabinieri per riferire quanto appreso sulle violenze subite dalla sua bambina. « Abita nella contrada di Musa, ha una Fiat Stilo di colore blu. Come risulta dagli appunti di mia figlia avrebbe avuto un solo rapporto in quanto amico di Iamonte». Ma di Iachino ha anche parlato la ragazzina nei suoi lunghi colloqui con la psicologa del tribunale «il rapporlo era voluto da entrambi, però io sono sicura che ne hanno parlato con Giovanni (Iamonte ndr) perché sono cari amici». E racconta che «una mattina che avevo detto che ero tornata prima, perché avevo detto che avevo detto che avevo assemblea, ci siamo visti. Non so, forse è sua quella casa, non so, comunque siamo andati e abbiamo iniziato a baciarci, una cosa voluta da entrambi, e abbiamo avuto un rapporto».

VOLONTA’ COARTATA Un racconto valorizzato dal gip Bennato per sottolineare l’attendibilità della ragazza, che «conferisce a ciascuno degli indagati un ruolo esatto, specifico, individualizzante, giungendo finanche a precisare ed indicare rapporti sessuali che, nella sua prospettiva, avrebbe coscientemente voluto e consumato». Ma dopo anni di abusi e di violenze, fisiche e psicologiche, per i magistrati la ragazzina non sarebbe stata più in grado di decidere coscientemente se e con chi avere rapporti. Trattata come una cosa senza valore, tale si sentiva. E di questo avrebbero approfittato uomini come Giacomo Iachino e Antonio Schimizzi, per questo oggi accusati di violenza sessuale.

Alessia Candito da Corriere della Calabria