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8 ottobre 2004

L’Fbi ingiunge alla società londinese proprietaria di server che ospitano 20 siti locali di Indymedia, fra cui quello italiano, l’oscuramento degli stessi, che viene disposto senza la notifica agli interessati né la conoscenza delle motivazioni.

Indymedia, in un comunicato, protesta contro “la repressione della libertà di informazione“, aspetto della globalizzata “guerra preventiva senza frontiere”.

Protesta anche la Fnsi: “Gli Usa e l’Fbi condizionano l’informazione nel mondo”. Dagli Stati uniti giunge la precisazione che il provvedimento è stato assunto dalla corte americana di San Antonio su richiesta della magistratura elvetica ed italiana.

Due giorni dopo la Procura di Bologna ammette di aver avviato una rogatoria negli Usa nell’ambito di un’inchiesta su Indymedia, negando peraltro di aver chiesto il sequestro. Tra i fatti considerati nella inchiesta come fatto penale vi è l’ipotesi di “vilipendio dei caduti di Nassiriya“, non essendosi il sito accodato alla versione ufficiale della “strage terrorista contro i soldati di pace” e facendosi promotore di appelli per il ritiro del contingente.

La campagna contro Indymedia, partita dagli Usa, è stata ripresa da An in un’interpellanza  firmata da 17 parlamentari proprio l’indomani dell’attentato di Nassiriya. Commenta oggi Mario Landolfi (An): “Aver oscurato Indymedia è stata una cosa buona e giusta: si trattava di un sito che sputava fango e veleno…

La magistratura italiana, peraltro, non convaliderà il sequestro consentendo a breve la riapertura del sito.