No Tav e repressione: una storia antica. Da Caselli a Spataro.
- settembre 25, 2016
- in misure repressive, no tav
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Stiamo affrontando con Nicoletta l’ennnesimo caso di accanimento giudiziario, vendicativo e insensato agli occhi dei più. Tutto ciò mentre altri No Tav sono sottoposti a misure cautelari e tanti altri, anzi tantissimi, continuano ad affollare i corridoi del Palazzo di Giustiza poichè perseguiti per qualche reato commesso in relazione alla tav valsusina.
Tante volte abbiamo parlato di accanimento ed anomalia, ecco come questo articolo potrà aggiungere qualche dato utile al ragionamento ma soprattutto sarà in grado di dimostrare come alcuni tesi del movimento rispetto la procura torinese non siano solo propaganda, ma prodotto della raccolta di dati verificabili e decisamente inconfutabili.
Questo perchè leggere i documenti ufficiali sull’organizzazione degli uffici giudiziari non solo consente di decifrare meglio le linee guida che governano le diverse strategie repressive, ma riserva talora delle sorprese.
I “Criteri di organizzazione dell’Ufficio” della Procura della Repubblica di Torino, predisposti dal dott. Spataro nell’estate delle scorso anno, segnano sotto diversi aspetti una discontinuità con la precedente “gestione” Caselli.
Per quanto concerne il movimento No Tav, il dato più interessante è costituito dalla cancellazione della sezione specializzata definita “Gruppo TAV” (curiosamente chiamata “No Tav”, in altra parte del documento, alle pagine 36, 41 e 96), a cui dovevano essere assegnati “i procedimenti per qualsiasi tipo di reato connesso alla costruzione del cd. impianto Tav, sia in occasione di manifestazioni pubbliche, che in materia di appalti”, ma che curiosamente ha finito per occuparsi, appunto, solo dei reati commessi nel corso delle manifestazioni indette dal movimento No Tav.
E’ noto che la costituzione di tale sezione specializzata ha comportato, nei fatti, l’investimento di importanti risorse nella repressione del conflitto sociale valsusino e la costruzione di un circuito processuale ad alta velocità che ha consentito di definire speditamente tali procedimenti ( i famosi 1000 imputati con le oltre 200 condanne in primo grado, di cui hanno parlato più volte i giornali).
Dall’anno scorso la sezione Tav è stata accorpata alla vecchia sezione “Reati di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico”, con l’istituzione di un unico gruppo specializzato denominato ”Terrorismo ed eversione dell’ordine democratico, reati in occasione di manifestazioni pubbliche”.
Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire. Si tratta, a prima vista, di un aggiornamento in chiave giudiziaria del vecchio detto «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».
Il dato sorprendente è però un altro.
Nel riferirsi alla costituzione dell’originario gruppo Tav (o, più correttamente, No Tav) il dott. Spataro, nel documento sopra richiamato, fa riferimento ad un provvedimento del dott. Caselli del 13.1.2010, che in tale data avrebbe istituito la sezione specializzata.
Segnatevi la data: 13 gennaio 2010.
Chi conosce la storia giudiziaria dei processi contro i militanti del movimento sa che, dopo la parentesi del 2005, legata alla battaglia del Seghino e ai pestaggi di Venaus, non c’erano stati, sino al 2010, episodi di rilevanza penale tali da meritare l’apertura di un fascicolo processuale.
In effetti, solo nel gennaio 2010 iniziano i presidi e le manifestazioni di opposizione ai sondaggi, realizzati da LTF sui terreni della Consepi.
La cosa curiosa è però che le prime due comunicazioni di reato per tali vicende arrivano sul tavolo della Procura rispettivamente il 10 gennaio e il 15 gennaio, per i primi due presidi effettuati in località Traduerivi il 9.1.2010 e il 12.1.2010.
E, invece, già il 13 gennaio dello stesso anno, dimostrando così una straordinaria capacità predittiva e divinatoria, i vertici della Procura decidono di costituire un’apposita sezione di magistrati, che, caso più unico che raro nella storia giudiziaria, viene istituita prima che i reati vengano commessi.
Alla data della sua istituzione, infatti, la sezione Tav dispone di una sola notizia di reato, relativa, tra l’altro, ad un’invasione terreni, reato previsto dalla norma contenuta nell’art. 633 del codice penale, vale a dire un reato che più modesto e inoffensivo non si può, tant’è che il relativo processo si definirà poi davanti al Tribunale con alcune condanne alla pena della multa.
E, invece, di fronte a tale fatto di evidente straordinaria tenuità (che tale non può che essere parso anche ai magistrati inquirenti, nonostante la loro indubbia vocazione all’iperbole descrittiva e alla sovradimensione nel corso della qualificazione dei fatti reato) che fanno i vertici della Procura?
Decidono di dirottare imponenti risorse umane ed economiche su questo fronte repressivo, distogliendo alcuni PM dai loro normali compiti d’ufficio per destinarli ad una sezione che non aveva però, in allora, materiale su cui investigare.
Sarebbe interessante conoscere le ragioni di tale sorprendente decisione.
Si tratta, in ogni caso, di una scelta che rivela come la strategia di repressione contro il movimento No Tav abbia radici antiche e non del tutto chiare, visto che la relativa sezione specializzata non nasce come risposta organizzativa alla necessità di affrontare una moltitudine di procedimenti per fatti simili (come ad esempio è avvenuto per le altre sezioni, relative, ad esempio, alla trattazione dei reati di riciclaggio e usura o dei reati in tema di tutela dell’ambiente o contro la pubblica amministrazione) ma anticipa la verifica dell’esistenza di tali reati.
La cronologia della vicenda sembrerebbe confermare che si è trattato di una scelta fatta a tavolino, non dettata da ragioni connesse all’adozione di moduli organizzativi più efficienti e specializzati, ma maturata, con ogni probabilità, nell’ambito di una strategia più complessiva.
Fatto sta che, fin dal gennaio 2010, la risposta giudiziaria è stata individuata come uno dei pilastri fondamentali della complessiva lotta che le istituzioni di questo paese hanno deciso di ingaggiare contro coloro che difendono la propria terra dalla devastazione del progetto ad alta velocità ferroviaria.
E allora sorge spontanea una domanda: chi ha operato tale scelta? E’ pensabile che si sia trattato di una decisione autonoma dei vertici della Procura?
Difficile, visto che la Procura, in qualità di ufficio giudiziario inquirente, ha come primo compito istituzionale quello di prendere cognizione dei reati già commessi e di istruire le notizie di reato a lei trasmesse o presentate, ma sembra difficile che possa partire autonomamente alla ricerca di possibili e futuri reati, per poi calibrare e costruire su tale eventualità le proprie scelte organizzative.
Vi è stato forse un coinvolgimento dell’autorità amministrativa (di polizia) e politica, che si sono adoperate per segnalare l’importanza di contrastare anche sul piano giudiziario l’opposizione al Tav?
E in questo possibile coinvolgimento quanto hanno pesato i poteri forti, che da sempre sono stati capaci di influenzare le decisioni del potere politico sulle grandi opere pubbliche?
Sono stati serenamente a guardare o si sono a loro volta attivati?
Domande al momento senza risposta.
Però a pensare male, diceva quel tale, si fa peccato ma talvolta si indovina.
da notav.info