Menu

La strage dei migranti e la miseria politica e morale dell’Europa

Come cento altri casi di stranieri morti mentre tentavano di raggiungere l’Italia, anche l’ultima strage di Lampedusa scivolerà, nel giro di pochi giorni, nell’oblio. E così avverrà per le rivolte di Bari e di Crotone. Cadaveri sepolti frettolosamente sull’isola e stranieri avviati, dopo l’immediata visibilità della loro protesta, in altri centri di detenzione o nel nulla del lavoro nero e dell’invisibilità.
Si prova un senso d’impotenza, prima ancora che di disperazione, davanti a queste stragi continue – monotone è l’orribile aggettivo che viene alla mente – e a questi destini che non interessano a nessuno. Sicuramente non interessano al governo, in cui nessuno ha una parola di ripensamento sulla scelta delle frontiere bloccate e delle espulsioni. E non interessano, se non sporadicamente e marginalmente, ai partiti d’opposizione che, quando erano al governo, non agivano in modo troppo diverso. Ed ecco così il silenzio, l’indifferenza, l’accettazione unanime della “fatalità”, abitudini vigliacche solo interrotte da qualche pianto di coccodrillo o corsivo di letterati.
Un paese arido, incattivito e in buona parte visceralmente ostile agli stranieri – come nelle orride parole di quel leghista dopo la strage in Norvegia – è quello verso cui si dirigevano i giovani soffocati nella stiva di una carretta del mare, o in cui cercano di sopravvivere questi altri condotti dalla disperazione a protestare giustamente contro l’ignavia e il disinteresse della nostra amministrazione.
Ma se si va, come è nostro dovere, al di là del senso di raccapriccio, è necessario ribadire che il governo italiano porta la responsabilità politica e morale di queste stragi. In primo luogo per non aver mai adottato una minima politica di accoglienza per i richiedenti asilo e, soprattutto, per i migranti in fuga dalla guerra e dalla fame. Un paese che raschia i fondi del barile per mandare i Tornado a bombardare Tripoli – ancora una volta, nell’indifferenza generale – non è capace di offrire agli stranieri se non la permanenza, fino a diciotto mesi, nei Cie! Che c’è da aspettarsi da un ministro degli interni che dice di essere contrario alla guerra di cui porta la responsabilità? E che ci aspettiamo da un’opposizione, in cui gli ex sindaci sceriffi sono quelli oggi sotto indagine per concussione?
Ma il discorso non può limitarsi al nostro paese. È proprio Sarkozy, il Napoleone piccolo piccolo d’oltre frontiera ad aver fatto espellere i Rom dalla Francia. Quest’ometto feroce che s’inventa nemici interni ed esterni a ogni giro di vento per risalire nei sondaggi e che oggi straparla di intervenire in Siria. Con ciò appare, nella sua impotenza e nella sua brutalità, la natura della politica estera di un continente incapace di contrastare la speculazione finanziaria, ma chiuso nella difesa immaginaria delle proprie frontiere e pronto in ogni momento alle avventure militari.
Se guardiamo al di là della cronaca, appare evidente la connessione tra stragi dei migranti e la disponibilità alla guerra del neo-imperialismo, risibile nel suo velleitarismo, della piccola Europa. Non parlo solo del fatto ovvio che l’intervento militare in Libia ha aggravato una crisi interna di cui oggi civili e migranti subiscono per primi le conseguenze. Parlo della generale indifferenza per le vite degli altri quando gli interessi europei, reali o immaginari, materiali o simbolici, sono in gioco. Una rielezione vale una guerra. Un po’ di contratti petroliferi vale, come nel caso dell’Italia, un subitaneo cambio di alleanze, la faccia feroce verso un tiranno cui si baciavano le mani fino all’altro ieri. Un po’ di consenso in Padania vale una politica migratoria brutale e disumana. Questa è la sostanza dell’antropologia politica europea, questa è la scala di valori che orienta l’azione internazionale di Berlusconi, Frattini e Maroni (e che probabilmente orienterà il futuro governo, tecnico, centrista o unanimista che sia).
E’ della miseria politica e morale europea (e in essa del nostro paese debole e feroce) la responsabilità delle stragi in mare o nei deserti.

Alessandro Dal Lago da Liberazione