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12 novembre 2011 – Viterbo

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Cristian De Cupis, romano di 36 anni, residente nel quartiere Garbatella era affetto da diverse problematiche di carattere sanitario. Viene arrestato il 9 novembre alla Stazione Termini per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Condotto al Pronto Soccorso del Santo Spirito l’uomo, che aveva delle escoriazioni alla fronte, avrebbe riferito ai medici di essere stato percosso dagli agenti che lo hanno arrestato e, per questo, avrebbe anche sporto denuncia.

Il 10 novembre, De Cupis viene trasferito, in ambulanza e scortato dalla polizia, nella struttura protetta dell’ospedale “Belcolle” di Viterbo dove viene sottoposto a tutti gli esami di rito, compresa una Tac. Il giorno seguente sarebbe stato anche convalidato l’arresto e disposti gli arresti domiciliari non appena finito il ricovero.

La mattina del 12 novembre, però, De Cupis muore. I familiari sarebbero stati avvertiti dell’arresto solo dopo l’avvenuto decesso. A chi lo ha incontrato nei giorni del ricovero l’uomo era parso a tratti agitato e a tratti lucido, comunque non in condizioni che potessero far immaginare una morte repentina. A conferma di ciò, la circostanza che l’uomo, solo due giorni prima dell’arresto, si era rivolto ad una struttura di orientamento per detenuti per cercare un lavoro.

La sciarpa della Roma stretta al collo, sopra le ecchimosi e i lividi che scendono dalla nuca alle spalle, gli occhi chiusi per sempre, quello sinistro piuttosto gonfio e tumefatto, come un po’ tutta quella parte del viso che è violacea. Altre ecchimosi sul fianco sinistro e vasti ematomi sulle mani, letteralmente devastate. Almeno quattro ferite di forma circolare e di una certa profondità nella parte frontale del cranio, una lesione su quella parietale sinistra e un’altra più profonda dietro, sulla nuca, da cui deve essere uscito molto sangue, visto che sul giubbino – lavato o comunque smacchiato da qualcuno – restano degli aloni rossi.

L’ultima immagine di Cristian De Cupis assomiglia un po’ ai suoi ultimi tre giorni, sghemba, poco nitida, violenta. Ma è proprio quell’alone opaco che rende così dura la fine piuttosto strana di un uomo che pure era abituato a remare controcorrente e senza paracadute. Ha perso la madre che era ancora un bambino, non ha mai avuto un vero padre e all’età in cui si prende la patente si era già infilato sulla sua cattiva strada, già molto scivolosa.

Dentro e fuori da caserme, celle e comunità: detenuto a Regina Coeli, Rebibbia, poi Terni, Viterbo, Velletri, Secondigliano, alternando periodi di cura ad Amelia da Pierino Gelmini, a Bologna, Ravenna, Milano, ma anche a San Patrignano, l’ultima volta, nel luglio scorso, due mesi e poi fuori, perché Cristian non ce la faceva più a passare da una prigione a un centro di recupero. Denunce, verbali, carabinieri, polizia. Piccoli furti per racimolare qualche soldo per la dose, e dopo la dose daccapo coi furti, e via così per settimane, mesi, anni. Non ne faranno un santino, ma certo non meritava di diventare un fascicolo per omicidio colposo sul tavolo di un magistrato. (da acad)