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Violenze al G8 di Genova, lo Stato condannato a maxi risarcimento

Giudice riconosce un alto indenizzo per un attivista tedesca. Furono «condotte di vera tortura», ma il reato ancora non c’è

Dopo 15 anni arriva una condanna per le violenze perpetrate alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001. Si tratta di quella con cui una giudice del tribunale civile di Genova ha condannato lo Stato Italiano a risarcire una ragazza tedesca con 175 mila euro per danni morali e fisici dovuti alla privazione dei diritti, alle lesioni patite, alle umiliazioni che dovette sopportare e alle gravi violenze alle quali ha assistito.

Nel dettaglio la giudice Paola Bozzo Costa ha riconosciuto 40 mila euro per i reati, 80 mila euro per i due terribili giorni trascorsi nella caserma di Bolzaneto e 55mila per il danno subito. Tra le poche cause civili arrivate a sentenza per quella «macelleria messicana», questa finora è la più ingente in quanto ad entità del risarcimento. Risarcimento che tuttavia non fa giustizia per le «condotte di vera e propria tortura» attuate con «la volontà di cagionare dolore nell’abusare delle rispettive posizioni di potere e autorità» che Tanja W., ventiduenne all’epoca, ha subito.

Da trent’anni chi, come l’associazione Antigone, si occupa di tortura, va dicendo che questo reato è l’unico direttamente previsto dalla nostra Costituzione laddove, all’articolo 13, è scritto che «è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà».

A dirlo oggi è anche questa giudice quando parla di «lesione di diritti della persona a protezione costituzionale che non sono oggetto di tutela della norma penale sanzionatrice in questione». In poche parole si può procedere con il risarcimento per quelle torture, ma nessuno dei responsabili potrà essere punito.

Dunque ancora una volta un giudice in un tribunale italiano parla di tortura sentenziando, al tempo stesso, come in Italia non si possa fare giustizia nei casi in cui questo crimine contro l’umanità si manifesti. A farlo fu già il giudice chiamato a pronunciarsi sulle violenze perpetrate contro due detenuti nel carcere di Asti. Portati in isolamento furono denudati, gli venne razionato il cibo, impedito di dormire e furono sottoposti a percosse quotidiane. Fatti che, pur qualificandosi come tortura ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite, non potevano essere perseguiti come tali, scriveva il giudice nella sentenza, poiché in Italia non esiste una legge che riconosca questo reato.

Ora il caso di Asti è dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, anche grazie al sostegno di Antigone nella stesura del ricorso, e a breve è attesa la sentenza dei giudici di Strasburgo. Sentenza che il Governo ha provato a evitare patteggiando 45mila euro a ognuno dei torturati. Offerta rispedita al mittente dalla Corte. Così come era stata rispedita al mittente, in questo caso dagli stessi trentuno ricorrenti, un’analoga offerta per archiviare il ricorso pendente proprio sulle torture a Bolzanento.

Offerte con le quali si è provato a rimediare a un ritardo quasi criminale, quello che il nostro Parlamento ha accumulato per l’introduzione del reato di tortura nel codice penale. È dal 1988, da quando lo stesso Parlamento ratificò la Convenzione delle Nazioni Unite, che l’Italia aspetta questa norma. Una lacuna che nell’aprile del 2015 ci ha fatto notare la stessa Corte Edu nella sentenza con la quale il nostro Paese venne condannato per le torture alla scuola Diaz.

All’indomani di quella pronuncia il presidente del Consiglio Renzi, attraverso un tweet, prese l’impegno di far approvare questa legge. Un impegno che il Senato, nel mese di luglio, ha affossato. L’Italia è ancora il paradiso dei torturatori. Per questo motivo giovedì scorso Antigone ha organizzato una manifestazione davanti a Montecitorio cui hanno partecipato numerose organizzazioni per i diritti umani e studentesche, il sindcato con la Fp-Cgil, gli avvocati delle Camere Penali e i giudici di Magistratura Democratica. In quella piazza abbiamo chiesto proprio a Matteo Renzi e al ministro della Giustizia Andrea Orlando di impegnarsi in prima persona. Dopo 28 anni non si può ancora aspettare.

Patrizio Gonnella, Andrea Oleandri da il manifesto