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Roma: Sgombero Point Break, le bugie della questura non sussistono

Il 21 luglio scorso veniva sgomberato lo studentato occupato Point Break, nel quartiere del Pigneto. Sulla base di qualche grammo d’erba, la Polizia di Stato montava un’operazione mediatica finalizzata a nascondere uno sgombero politico dietro una presunta attività di spaccio. Adesso, questa ridicola operazione è stata smentita persino in sede processuale.

Poco più di sei mesi fa, all’alba di una mattina di luglio, digos, poliziotti e carabinieri in tenuta anti-sommossa si presentarono in via Fortebraccio 30, all’indirizzo di Point Break. Non bussarono, ma sfondarono la porta (riuscendoci solo grazie a una sfortunata coincidenza). Dentro la casa trovarono dieci persone: nove furono trasferite in tutta fretta al commissariato di Porta Maggiore per identificarle e denunciarle per occupazione abusiva; la decima, invece, fu arrestata. Il motivo? Alcuni grammi d’erba rinvenuti nel palazzo. Quei pochi fiorellini di marijuana, però, non costarono soltanto l’arresto di un ragazzo, tra l’altro liberato già la mattina successiva dal giudice, ma furono anche utilizzati dalla polizia per negare la natura profondamente politica dello sgombero, presentandolo quasi come un’operazione diretta contro una comune organizzazione criminale dedita ad attività illegali per un suo tornaconto privato. Nello specifico, il comunicato della questura affermava: «una persona è stata trovata in possesso di marijuana già suddivisa in dosi pronte per lo spaccio al dettaglio; trovata e sequestrata inoltre, per complessivi 150 grammi, altra marijuana in vari luoghi dell’edificio nonchè appunti di contabilità riconducibile ad una intensa attività di spaccio». A corredare il tutto, una bella fotografia in cui l’erba veniva messa in possa accanto a caschi, bastoni e poster (dalla manifestazione contro il CIE di Ponte Galeria, a una bandiera No Tav e un’altra dei Paesi Baschi), per sostenere la tesi, paradossale per chi ne capisce un po’ di queste cose, che i «responsabili dell’occupazione [fossero] un nutrito gruppo di persone di matrice filo anarchica, riconducibili all’area della sinistra extra parlamentare e dei centri sociali autogestiti».

L’espressione «intensa attività di spaccio» aveva provocato immediatamente grande ilarità nelle strade e nei bar del Pigneto, dove vecchi e nuovi abitanti vivono da anni le problematicità legate al mercato della droga controllato da organizzazioni mafiose, con tutto l’indotto di violenza annesso e connesso. Un mercato non solo tollerato dallo Stato, ma prodotto direttamente attraverso leggi proibizioniste che stigmatizzano e condannano chi produce e consuma sostanze psicotrope. Gli abitanti del quartiere sanno bene ciò che rappresentava Point Break e sono ben consapevoli che alcune decine di grammi d’erba (ammesso e non concesso che la questura abbia pesato bene i fiorellini) non costituiscono certo una quantità fruttuosa per un’attività di spaccio. Né lieve, né intenso. Già nella bella e partecipata assemblea pubblica che gli occupanti avevano organizzato pochi giorni dopo lo sgombero davanti alla scuola elementare di via del Pigneto, si erano moltiplicati gli interventi di associazioni anti-proibizioniste e residenti della zona che smontavano il teorema fabbricato in questura.

Nonostante ciò, la tesi della «centrale dello spaccio» era servita a gettare discredito su Point Break e in generale sul mondo delle occupazioni abitative e degli spazi sociali e a far partire immediatamente la macchina del fango. L’immagine e le parole del comunicato della questura erano state ben presto grassettate e fatte rimblazare dai giornali dei palazzinari romani e da quei siti impegnati a rivendicare una presunta legalità solo quando questa significa difesa degli interessi dei ricchi. Nulla di nuovo, del resto. Comunque, martedì 17 Gennaio, è arrivata una nuova e definitiva smentita alla tesi del narcotraffico niente di meno che dal giudice che non ha condannato penalmente il ragazzo imputato di spaccio, come chiedeva il GiP. «Assolto in quanto per la legge il fatto non è considerabile reato», le accuse della questura non sussistono, ha stabilito il magistrato.

Del resto, questo era già chiaro e non c’era bisogno di aspettare la sentenza. L’unico fatto che sussiste è l’attacco contro una realtà politica e sociale che in sette anni ha assicurato la casa a decine di persone e ne ha ospitate diverse centinaia, che ha fornito uno sportello gratuito di sostegno agli studenti in affitto vessati dai proprietari di casa (servizio realizzato prima in via Fortebraccio e poi presso la sede del Municipio V) e che negli ultimi anni si era impegnata nella battaglia cittadina per garantire a tutti, dal basso, il diritto all’acqua. Sussiste il fatto che il palazzo dopo diversi mesi dallo sgombero è ancora vuoto e rischia di rimanerlo ancora per anni. Sussiste la guerra agli spazi sociali e alle persone che vivono in emergenza abitativa lanciata da Tronca e che la nuova giunta non sembra decisa a interrompere, come dimostrano i recentissimi sgoberi operati dalla questura in piena emergenza freddo, ad esempio quello dello studentato Alexis nel quartiere Ostiense. Sussistono gli attestati di solidarietà e affetto ricevuti da mezzo mondo. Il resto sono bugie. E a volte accade che le bugie mostrano di avere le gambe corte.

da DinamoPress