Menu

Gran Ghetto Rignano: Due migranti morti nel rogo post-sgombero

Due braccianti, probabilmente del Mali, sono morti a causa di un incendio di vaste proporzioni che si è sviluppato nella notte tra giovedì 2 e venerdì 3 marzo all’interno del Gran Ghetto”, tra San Severo e Rignano Garganico (Foggia), dove vivono centinaia di braccianti agricoli sfruttati nei campi agricoli della zona.  Incerte al momento le cause del rogo, ma non si esclude che possa essere di natura dolosa. Molte bombole di gas sono saltate in aria rendendo il rogo ancora più esteso.

Due giorni fa era cominciato lo sgombero da parte delle forze dell’ordine, con la protesta, solo ieri, giovedì 2 marzo, di centinaia di migranti sotto la Prefettura, visto che nessuno sa al momento dove, come e in che strutture precise verranno portati i migranti, che per questo a centinaia hanno dormito in strada o rientrando nello stesso Ghetto.

E’ gravissimo ed inquietante il contesto in cui è maturato l’assassinio di due braccianti immigrati con l’incendio doloso del ghetto di Rigano, dove un centinaio di lavoratori aveva deciso di resistere allo sgombero senza alternative. Un insieme di spinte e di azioni razziste e antiproletarie sul cui sfondo restano i pezzi di un puzzle di cui non conosciamo ancora tutte le connessioni ma che non è difficile leggere come unitario. A partire dalla mancata volontà, in tanti anni, della regione Puglia di offrire un tetto decente ai lavoratori che venivano sfruttati nei campi alla miserabile paga di due euro per ogni quintale di pomodoro (…!), all’incredibile protesta degli agricoltori contro la legge sul caporalato dopo gli arresti per la morte di una bracciante autoctona “sfinita dal lavoro”, a un Governo che grazie a leggi da apartheid trasforma le vittime in “colpevoli” della propria condizione, gli sfruttati in “criminali”. Perciò qualunque sia stata la dinamica questi due morti sono morti di Stato!
Nel trionfo di un’insopportabile ipocrisia coperta dalle tonnellate di pomodoro che finiscono sulle tavole di tutti noi mentre i grandi marchi si arricchiscono su chi si spezza la schiena nei campi.

 Il Comitato Lavoratori delle Campagne – Campagne in Lotta ha diffuso al riguardo una dura notta, dal titolo “Morti di sfruttamento”, che riportiamo di seguito:

Questi morti, gli ennesimi che siamo costrett* a piangere, sono sulle coscienze di chi sfrutta le persone a fini politici, di chi le sfrutta sul lavoro, di chi ne fa un fenomeno da baraccone, di chi con leggi criminali crea marginalità, segregazione, ricatto. Nessuno si azzardi a dire che è colpa loro, che l’incendio è stato appiccato da qualche abitante del ghetto, che le persone si sono rifiutate di andarsene nonostante gli sia stata offerta un’alternativa. Quell’alternativa è un’invenzione, qui si gioca con la vita delle persone, una vita che evidentemente non conta nulla. I responsabili hanno nomi e cognomi – e la lista è lunga. Siedono alla presidenza della Regione Puglia, al Ministero dell’Interno, nelle Questure e in tutti i palazzi del potere, ma anche nei posti di comando delle loro aziende, con sede in mezzo mondo. Il vostro Made in Italy è sporco del nostro sangue!
Questi morti gridano giustizia. E finché giustizia non sarà, non potrà esserci pace”.

La corrispondenza con Radio Onda d’Urto di  Veronica, di Campagne In Lotta. Ascolta o scarica qui

Su quanto accaduto a Foggia, la segreteria provinciale della Cgil “esprime il proprio cordoglio per la perdita di due giovani vite nell’ennesimo tragico episodio che coinvolge il ghetto di Rignano” ma allo stesso tempo chiede “alle istituzioni di procedere con maggior velocità e decisione allo sgombero definitivo garantendo a tutti i lavoratori oggi lì ospitati un’accoglienza dignitosa”.

Una posizione rigettata dai migranti, dai solidali e anche dall’Usb, che in una nota accusa: “Aver avviato lo sgombero del campo di Rignano senza coinvolgere i lavoratori che lo abitano – è stato un atto di prepotenza istituzionale che non è possibile accettare”.

ai microfoni di Radio Onda d’UrtoTonino D’Angelo, coordinatore dell’Usb a Foggia.Ascolta o scarica l’intervista

Soumahoro (USB): la disponibilità d’acqua probabilmente avrebbe evitato la morte dei lavoratori

La morte dei due braccianti, Mahamadou Konaté e Nouhou Doumbouya, nella notte scorsa a seguito dell’incendio probabilmente doloso è l’ennesima dimostrazione di un sistema che tiene in ostaggio tra sfruttamento lavorativo e sociale i braccianti – denuncia Aboubakar Soumahoro del Coordinamento lavoratori agricoli USB – I lavoratori sono vittime di una condizione di continue vessazioni tra ricatti e repressioni di ogni genere e negli ultimi giorni deportazioni e mancata fornitura d’acqua da parte delle istituzioni locali. E probabilmente la disponibilità d’acqua probabilmente avrebbe evitato la morte dei lavoratori.

La situazione nelle campagne del foggiano – prosegue Soumahoro – è il risultato di politiche fallimentari che vanno avanti da oltre un decennio, come anche è verificabile in altre regioni, e l’attuale Giunta regionale non ha alibi. Perché anziché individuare soluzioni alternative dignitose sul piano abitativo e lavorativo, si è proseguito con la politica repressiva in netto contrasto con le solite dichiarazioni ipocrite di circostanza.

Intanto – continua il sindacalista USB – l’USB ha chiesto un incontro urgente con il Prefetto di Foggia e il Ministero dell’Interno, per trovare una soluzione immediata e dignitosa per i lavoratori braccianti rimasti e la sospensione di qualsiasi operazione di trasferimento non concordato con i lavoratori stessi. L’USB denuncia per l’ennesima volta le responsabilità del Governo Nazionale e dei vari Governi Locali incapaci di affrontare con una vera politica di inserimento lavorativo e sociale, la condizione delle migliaia di lavoratori che oggi ancora garantiscono la raccolta nelle campagne e la filiera della agroindustria alimentare, sbandierata come fiore all’occhiello del Made in Italy.

L’USB è impegnata da tempo nella lotta per i diritti dei braccianti attraverso il processo di sindacalizzazione. Un percorso – conclude Soumahoro – che sta riscontrando una risposta positiva dei lavoratori come avvenuto ultimamente nella riunione degli oltre 300 braccianti a San Ferdinando nella Piana di Gioia Tauro, e prima ancora a Venosa in Basilicata.

 

da