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Turchia: arrestati 80 avvocati

È una guerra nella guerra quella combattuta dal sultano Erdogan contro l’avvocatura turca. Colpire le radici della democrazia, spezzare le reni ai custodi dei diritti civili, impedire, anche materialmente, l’esercizio della difesa è un passaggio fondamentale nella cupa transizione della Turchia verso un pieno regime autoritario. Il cerchio, secondo i calcoli di Erdogan dovrebbe chiudersi con il referendum del 16 aprile: se vincerà il sì alla riforma costituzionale sparirà del tutto la seprazione dei poteri e il presidente controllerà tutti gli apparati dello Stato come un despota.

L’ultimo bollettino di questa guerra sporca parla di ottanta avvocati arrestati ieri mattina a Istanbul con la generica accusa di cospirazione contro le istituzioni e con addosso l’etichetta passepartout di simpatizzanti del movimento di Gülen, il predicatore in esilio negli Usa accusato di aver ideato il presunto fallito golpe di luglio. È lo schema con cui negli ultimi nove mesi sono state arrestate e/ o licenziate centinaia di migliaia di persone tra cui oltre mille avvocati.

Tra i fermati di ieri ci sono i difensori di noti dissidenti politici come il giornalista imprigionato Hidayet Karaca, l’editor- inchief della rete tv Samanyolu, l’uomo d’affari in esilio Akin Ipek e di diversi ufficiali di polizia accusati di tradimento.

«Negli ultimi mesi hanno cacciato o messo in prigione oltre 6mila accademici, hanno rovinato 5mila avvocati, messo i lucchetti a 160 organi di informazione, chiuso centinaia di associazioni, messo in prigione giornalisti, funzionari, militari, amministratori pubblici, insegnanti, militanti dell’opposizione: è necessario ristabilire la vita democratica secondo le norme del diritto internazionale, e abbiamo disperato bisogno di aiuto dall’estero, la presenza di legali stranieri ai processi è fondamentale, come lo sarà quella di parlamentari europei al referendum del 16 aprile», tuona Pinar Akdemir, legale degli 11 deputati del Hdp ( il partito di opposizione democratica) arrestati dal regime lo scorso novembre. Akdemir è ospite di un incontro organizzato del Consiglio Nazionale forense sui diritti civili in Turchia, con lei Mahmut Sakar storico avvocato di Abdullah Öcalan, il leader del Pkk curdo che da anni si trova in isolamento totale nella prigione dell’isola di Ismarili; il suo caso ( dalle condizioni carcerarie al trattamento dei suoi avvocati) è stato una specie di “laboratorio” della repressione poi pienamente messa in atto dal regime. «Noi avvocati non siamo solo difensori dei diritti, ma anche testimoni delle violenze, per questo il regime ci intimidisce continuamente. Il processo contro Öcalan è stato emblematico di come i diritti della difesa non esistano in Turchia da molto tempo. Dopo il presunto fallito golpe di luglio con lo stato d’emergenza permanente hanno legalizzato l’illegalità», racconta. Anche Sakar si appella ai colleghi stranieri e alla comunità internazionale affinché provino ad arginare la deriva tirannica che sta subendo la Turchia. Per fare questo non basta però la buona volontà. In tal senso il Cnf realizzerà un vero e proprio manuale di formazione giuridica per gli osservatori internazionali che andranno a svolgere il loro lavoro nei paesi dove la democrazia è più a rischio. Un’iniziativa dell’avvocatura italiana che va oltre la doverosa solidarietà ai colleghi in pericolo, per offrire ai difensori dei diritti civili degli strumenti più efficaci.

Daniele Zaccaria da il dubbio