Ho letto la traduzione dell’appello per Amburgo – NOG20 International. Un po’ tristanzuola – in inglese è più ficcante. Già solo il titolo: We are many! We are loud! Τhe world will hear us. Ma – curiosità – nella versione originale, lungo la filiera delle manifestazioni globali e anti-globalist insieme, che si richiamano e si rivendicano, non è nominata Genova 2001.
Cito: «Seattle 1999, the global marches against the Gulf War, the squares of Madrid, Istanbul, New York and Lagos, Blockupy 2015 in Frankfurt and the Global Women’s Marches proved it». Pure in francese è così: «Seattle 1999, les manifestations mondiales contre la geurre du Golf, les places de Madrid, Istanbul, New York et Lagos, Blockupy 2015 à Francfort et les marches des femmes partout dans le monde l’ont prouvé». E nelle altre lingue usate.
Anche globalproject.info (uno dei siti italiani di riferimento della mobilitazione verso Amburgo) non cita “Genova”, nella sua traduzione. C’è scritto così: «La Seattle del 1999, le marce globali contro la Guerra del Golfo, le piazze di Madrid, Instanbul, New York e Lagos, Blockupy a Francoforte nel 2015 e le manifestazioni globali delle donne l’hanno provato».
Invece, nella traduzione italiana, sul sito internazionale del “call”, c’è. Cito: «Seattle 1999 e Genova 2001, le mobilitazioni globali contro le guerre nel Golfo, le piazze di Madrid, Istanbul, New York e Lagos, Blockupy 2015 a Francoforte e il movimento globale delle donne lo hanno dimostrato».
Abbiate pazienza, la mia non è una fissazione filologica da correttore di bozze. Ho pensato: è una dimenticanza, e chi ha tradotto il testo in italiano, ha corretto il “refuso”. Certo, è curioso che non sia stato corretto anche nelle altre lingue; cos’è, “Genova 2001” è solo storia italiana? Oppure – mi sono detto – forse è per scaramanzia. Chi vorrebbe vedersi ripetere quelle scene, la Diaz, Bolzaneto, la morte di Carlo Giuliani, un movimento, migliaia e migliaia di uomini e donne, allo sbando, intrappolato? Una ferita ancora aperta, un ricordo indelebile, una cicatrice. In questo caso – fosse per scaramanzia – non dovrei neppure io parlarne, nessuno dovrebbe parlarne, è vero.
Ma è più ragionevole pensare che su Genova 2001 non sia mai stata fatta un’analisi lucida di quegli avvenimenti – del caos di quei giorni, della successiva “gestione” dopo la morte di Carlo Giuliani. Che ci sia, insomma, un “buco nero” della riflessione collettiva – una enormità di eventi di fronte ai quali si è quasi frastornati, incapaci di trovare un filo. E un “senso di colpa”, perciò.
Eppure è curioso, anche perché dopo anni, finalmente, pure sentenze di tribunale riconoscono che ci fu una violenza inaudita da parte delle forze dell’ordine. Peraltro quasi nessuno cita mai Napoli, dove a marzo si svolse prima del luglio di Genova una manifestazione contro il Global forum economico e dove ci fu un vero e proprio massacro, una piazza gremita di giovanissimi che fu circondata e poi bastonata ferocemente e poliziotti e carabinieri andarono fino negli ospedali, dove si erano ricoverati quelli che sanguinavano, e li sequestrarono e portarono in caserma dove le violenze continuarono (era un governo di centrosinistra, Amato II, e il ministro dell’interno era Enzo Bianco, ora sindaco di Catania – a luglio fu il governo Berlusconi, in queste cose l’alternanza funziona perfettamente). Qualche condanna, prescrizioni, il tempo passa e seppellisce le cose.
E ancora, recenti inchieste, indagini e sentenze hanno riconosciuto che ci furono degli infiltrati – specificamente si è sicuri di almeno un uomo, un agente inglese sotto copertura che a Genova agì da black bloc. Certo, non spiega tutto in termini di complotto.
Ci sono, insomma, più motivi oggi per citare Genova 2001. Eppure, quell’evento, il culmine di un movimento straordinario, dove suorine si mescolavano a militanti dei centri sociali ricoperti di gommapiuma per resistere ai colpi dei manganelli, associazioni di base stavano insieme a pezzi di partito e sindacato, pacifisti dalle mani bianche alzate sfilavano insieme a duri manifestanti con bastoni e casco, non ha prodotto alcun “passaggio” teorico, politico.
Genova 2001 è un po’ la nostra “domenica di sangue” del 1905; non perché ci siano similitudini tra le manifestazioni – nessun pope Gapon guidava la marcia verso la strage – ma per il senso di “cesura” che rappresentano l’una e l’altra. Solo che da una – a san Pietroburgo – ne venne la formazione di una generazione politica consapevole, dall’altra non ne è venuto fuori nulla. Almeno in Italia. Ne venne solo che tutta quella costellazione di esperienze e posizioni che in qualche modo si era messa in gioco – ciascuna per proprio conto – in quel movimento straordinario, ritornò a dov’era prima: la sinistra radicale parlamentare si “insabbiò” nel suo parlamentarismo istituzionale; la sinistra dei centri sociali si frantumò in esperienze territoriali; i sindacalisti più accesi insistettero in un percorso di rivendicazioni di base e quelli più moderati si rivolsero alla contrattazione governativa; e così via tutti gli altri. Ognuno tornò a casa propria, chiudendo le finestre. Ne venne fuori anche che tutta la “generazione politica” nuova che aveva coordinato quell’evento e il percorso che aveva portato a quell’evento si disperse in percorsi individuali, chi più istituzionale, chi stranito in mezzo al guado, cercando di riproporre una dialettica di cose che ormai era improponibile, chi in una coazione a ripetere dell’antagonismo.
Eppure, a livello europeo, ne sono venuti fuori, o ne sono stati segnati in qualche modo, per dire, Tsipras di Syriza, e Iglesias di Podemos. Di cui, certo, si può discutere quanto si vuole, ma non se ne può negare l’importanza e la significanza, e non solo per i propri paesi.
Sono passati più di quindici anni da Genova 2001, e da allora – ogni volta che in Italia è accaduta una qualche manifestazione nazionale importante – la “piazza” s’è spezzata, prima in due, poi in mille rivoli. A volte l’una cosa contro l’altra vicina. Ogni volta, cioè, “Genova 2001” si è riproposta, come un garbuglio irrisolto. Adesso, viene proprio rimossa. O forse è solo un refuso.
Lanfranco Caminiti
da Comune-Info