Il teorema Calogero ed il PCI: la realtà supera ogni immaginazione nelle “oscure botteghe” della repressione!
- maggio 23, 2017
- in anni '70, Editoriale
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Non siamo sorpresi e stupiti dalle dichiarazioni pubbliche di Umberto Contarello che, come giovane militante della F.G.C.I. padovana, è stato indottrinato direttamente nella sede del P.C.I. (capeggiato da Flavio Zanonato) e dal p.m. Pietro Calogero su cosa dire e come dirlo, in qualità di testimone nel processo 7aprile contro i militanti dei collettivi politici per il potere operaio e più in generale contro l’Autonomia Operaia Veneta.
La presenza del magistrato nella sede di un partito per costruire il suo teorema, plasmare e manipolare testimonianze, pilotare le accuse e l’andamento di un processo politico inquisitorio, distribuire anni di galera e sofferenze per moltissimi uomini e donne non può non far rabbrividire dal disgusto chiunque. In particolare ogni magistrato onesto, ogni vero garantista e sincero democratico, dovrebbe chiedere immediatamente la radiazione di Pietro Calogero (che attualmente ricopre il ruolo di Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Venezia) dalla magistratura, con annessa sospensione da ogni funzione per indegnità morale ed etica.
Non siamo sorpresi, certo: la regia del PCI ed in particolare del piccolo boss locale Zanonato, con i suoi accoliti, è ciò che abbiamo sempre sostenuto e cosa evidente di per sé; ma la descrizione dei fatti occulti delle varie “botteghe oscure” supera ogni immaginazione. Un’operazione infame, da tribunale dell’inquisizione costruita a tavolino contro il movimento e le lotte operaie e proletarie. Il teorema Calogero ha aperto la strada alla stagione dell’emergenza nel nostro Paese, allo stravolgimento del diritto che ha avuto nell’inversione dell’onere della prova, nella “montatura” dei reati associativi, nella fabbricazione dei pentiti, nelle carceri speciali e la carcerazione preventiva, nella tortura sistematica i suoi pilastri.
I protagonisti e maggiori responsabili di questo passaggio storico, così gravido di conseguenze ed effetti devastanti, che permangono tutt’ora, hanno radici lontane: sono i post-stalinisti “di destra”, stalinisti nella forma e nei metodi inquisitori contro dissidenti ed avversari politici, liberal-liberisti folgorati sulla via del Mercato e dell’abbraccio con il capitalismo. Da Amendola, Napolitano, Lama, Macaluso e via via tutta una serie di burocrati plasmati dalle scuole di partito, fino ai vari Zanonato, Armano, Naccarato, i “comunisti” de noialtri. Parole d’ordine: compromesso con le classi dominanti per la spartizione del potere, rimozione del conflitto di classe, Il «farsi Stato del partito», la politica dei sacrifici, ovvero scaricare sui lavoratori i costi delle crisi capitalistiche, la repressione di ogni forma di organizzazione autonoma di classe e manifestazione di contropotere. Almeno Longo e Secchia, la sinistra post-stalinista del PCI, pur non capendoci molto sulle lotte autonome dell’operaio massa e la grande trasformazione del ’68 lungo gli anni ’70, con l’esplosione del conflitto radicale e gli embrioni di un contropotere rivoluzionario soviettista, hanno se non altro tentato un approccio con il movimento. Sono stati imbalsamati ed emarginati, mentre i meccanismi repressivi emergenziali, polizieschi, questurini del nuovo centralismo burocratico del Partito-Stato si sono scatenati con tutta la loro ferocia staliniana contro la sinistra autonoma e rivoluzionaria.
L’abbraccio mortale con il liberal-liberismo del PCI ha creato un mostro bifronte, una creatura anomala, neppure riformista o socialdemocratica in senso classico: uno statalismo mercantilista o un mercato statalista, qual dir si voglia, simile per alcuni versi all’ordoliberismo, la declinazione germanico europea del neo-liberismo anglosassone, ovvero l’economia sociale di mercato («niente sociale, tutto mercato» diciamo noi). La cosiddetta terza via (sic!), che negli anni ha condotto alla costituzionalizzazione del diritto e degli interessi privati, della concorrenza e della meritocrazia, della logica mercantilista e dell’impresa all’interno stesso dell’ordinamento giuridico statale. Da qui nasce quella cultura politica che ha favorito, negli anni della crisi, il pareggio di bilancio in costituzione, lo smantellamento del welfare, il potere della finanza, l’austerity, le oligarchie postdemocratiche al potere in Europa, i sacrifici scaricati sulle classi subalterne. Lama docet!
L’evoluzione del PCI-PDS-DS-PD lungo il tempo è andata in questa direzione non per un tradimento o per una deviazione di linea, bensì come naturale evoluzione da una matrice originaria.
Da qui, dall’oggi possiamo comprendere tutto il senso e la portata dell’operazione 7 aprile e del teorema Calogero, il ruolo del PCI e la sua evoluzione nel tempo al renzismo, il suo ruolo centrale nella rimozione del conflitto di classe e nell’interiorizzazione di massa dei valori del liberismo e del capitalismo post-fordista.
Chi è Minniti se non il triste erede, questurino e poliziesco , di quella cultura e tradizione?
Un fautore convinto dello Stato di eccezione e dell’emergenza permanente, per cui il nemico principale è sempre lo stesso, ogni processo costituente dal basso, ogni forma di organizzazione autonoma e di classe, ogni embrione di contropotere sociale. Nemici allora come ora, nemici sempre!